Amor mortis, la dualità necessaria dell’amore

Nulla è più favorevole al progresso intellettuale, poiché io leggo, per quanto è possibile, soltanto ciò di cui ho fame, nel momento in cui ho fame, e allora non leggo: mi nutro”. -Simone Weil.

Se il mio cuore pulsasse oltre gli impulsi dati dal burattinaio tramite i suoi fili e si svincolasse dal groviglio dello spago, entrerebbe in una rapsodia di pensieri non oppressi dalla ragione.

In filosofia si dice che termini semplici e astratti sono impossibili da definire. Già Platone condusse una ricerca, svoltasi in tre dialoghi lasciati aporetici, per cercare di definire non l’amore, quanto ciò che è il Bene. Immagino che l’amore non debba apparire troppo diverso dal Bene nel momento in cui cerchiamo di catturare la sua essenza, e non solo perché Platone stesso vedeva nell’amore il possesso perenne del Bene. Non voglio riallacciarmi alle auctoritates, quanto piuttosto prenderle come trampolino di lancio, ma sebbene sia con Platone nel Simposio che inizia una teoria dell’amore, io prenderei nozioni filosofiche da colui che più detestò le poche attenzioni carnali dell’uomo. E se una definizione si dà inerendo alla sostanza e volendo all’attributo, posso dire che definire l’amore è complicato; soprattutto per il suo statuto ineffabile poiché concetto astratto, polisemico, polivalente: è effimero e non si lascia contornare da definizioni che sempre condurrebbero almeno ad un’accezione inespugnabile dalla comprensione. Allora posso usare diverse parole in soccorso: energia, flusso, fuoco, Dio, istanza e mille eccetera a seguire. Plotino o Eckart possono venirmi in aiuto in questa ricerca di definizione, dicendo che cosa l’amore non è, ma di nuovo unicamente per approssimarci alla sua verità. E allora mi viene difficile definirlo prescindendo dell’attributo che pur non intacca la sostanza; perché l’amore è visibile grazie al suo attributo. Mi servirebbe un uomo. Poi penso ad un oggetto d’amore, penso alla distanza tra i due. E mi viene difficile prescindere anche dalle considerazioni personali, perché l’amore è legato all’uomo e alla sua esperienza. Personalmente vedere l’amore come semidio che muore e risorge in altri corpi m’ha sempre affascinato, ma se volessi azzardare a tenere saldi e miscibili sostanza e attributo dell’amore, direi con parole cafone questo: l’amore è un mezzo e come tale crea un legame, ma non tra me e l’altro, perché l’amore si nutre del solipsismo altrui ( se io ti amo è perché tramite i tuoi occhi vedo parti di me che riconosco grazie a te ); ma tramite me equell’estremo altro che è ben lungi da me, è dentro me. Se l’amore è stato di indagine filosofica e se la filosofia è – e mi dispiace dirlo per chi non ci crede – esercizio di morte , allora quella falsa linea etimologica che mi si para davanti come a-mors, nella sua insignificanza mi significa qualcosa. Molti accorpano l’amore, quasi identificandolo come il principio di vita. È certo che l’amore, una volta traboccante, non può non creare; sempre e comunque è sintomo di gestazione o di semina, simboli che rimandano alla terra ctonia dove riposa la ricchezza del Dio Ade. L’amore è forse l’ineffabile per antonomasia, eppure se decido di dargli la caccia col retino acciufferò anche suoi connotati, che sembrano pararsi oltre ciò che comunemente correlo all’amore.

Finita questa rapsodia di pensieri, ho piacere a lanciare qualche spunto di riflessione. 

Ma in me tutto ricomincia, mai nulla èrisolto. Mi distruggo nell’infinita possibilità dei miei simili: essa annienta il senso di questo io. Se raggiungo, per un istante l’estremo del possibile, poco dopo sarò fuggito, sarò altrove”. – Bataille

Penso ad un mio caro maestro, Hillman, di cui ho già precedentemente scritto, che non sa prescindere la filosofia dall’anima, non sa redimersi dalla saggezza dei greci e i loro sfoggi di mitologia, e allora penso che se l’amore è sempre stato spiegato vestendolo come un Dio, allora Amore è -seguendo l’esempio platoniano di Diotima, rappresentante delle cose d’amore- né uomo né Dio appieno, un metaxú, al confine tra il mondo degli uomini e degli dei. Figlio di Poros, colui che sempre la via trova e Penìa, la mancanza e la povertà. Certo Amore sarà colui che cercherà, mosso dal desiderio che è sempre spinto dalla mancanza, trovando la via per raggiungere il suo scopo, il telos, il Bene. L’amore è tradizionalmente collegato infatti al concetto di bene e felicità e quindi perfezione e perfezionamento; la sua funzione e sostanza saprebbero risolversi nella ricerca dinamica di un bene ulteriore nelle nostre vite. E’ necessario tenere a mente, allora, che in quanto semidio a metà tra uomini e dei immortali, la sua dynamis, che si articola in continue morti e rinascite, non lo terrà mai ancorato ad un singolo suolo. 

L’amore rifugge la stasi, quella stasis, che sempre per i greci era la fonte di conflitti. Anche Eraclito ne sottolineava il carattere conflittuale dato dal suo movimento ribelle, disarcionandosi ad ogni intento di imbrigliare le sue bellezze, e come suggerisce Galimberti e io stessa condivido, “Amore diventa più simile ad una lotta, che mi incita a dimostrare machiavellicamente a colui che amo la sostanzialità del mio amore”. Inizia ad emergere in trasparenza un lato dell’amore poco consono al senso comune, quando si decide di accomunarlo al polemos; eppure spostandosi in terra latina, con la celebre favola di Apuleio, si svela innanzi tutto, lo stretto rapporto che lega l’amore alla nostra anima. Curando l’anima e tessendone dolcezze appena la scorge in volto, deciso a destare il suo segreto, Amore vola via, obbligando Psychèa vagare da una terra all’altra alla ricerca di quell’amore che punto dopo punto, prima si è tessuto a lei e ora abbandonandola, nelacera la carne. 

Qual è dunque il segreto di Amore?

«Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione ». -Apuleio

«Le parole […] hanno finito di giocare. Le parole fanno l’amore » -A. Breton

Nei miei voli pindarici facevo riferimento ad un’etimologia di cui ignoro l’autenticità, che prevede amore come assenza di morte, quando distanziamo la a privativa dal nominativo mors. Ed è qui, che faccio un salto storico allucinante, e mi appello ad un autore fortemente controverso, che ha saputo più parlare di Erotismo, ma che aiuta tanto la ricostruzione fisiognomica del volto di amore.

« Se l’unione di due amanti è effetto diun travolgimentopassionale, l’unione stessa richiamerà la morte, come desideriodi omicidio o disuicidio. E solo nella violazione – al livello della morte – dell’isolamento individuale, che fa lapropria apparizione quell’immagine dell’essere amato che perl’amante rappresenta il senso di tutto ciò  che esiste. L’essereamato è per chi lo fa oggetto d’amore, la trasparenza delmondo. ». -Bataille

Mi viene così spontaneo far slittare i pensieri d’amore verso il suo ergon, il suo lavoro; verso la sua illustrazione ed espressione che passa dal moto dei corpi. Ma questo, come il titolo dell’opera di Bataille, è oggetto dell’Erotismo che avrò piacere ad esporre in un altro articolo. L’amore, suggeriscono gli autori esistenzialisti, ha un carattere inquisitorio, mette in questione noi con la nostra anima e il nostro corpo. È la scommessa di chi, dopo i dovuticonvenevoli, decide di raggiungere gli stadi ultimi dell’esperienzainteriore. L’amore è perdita e successivamente ritrovamento; una smaterializzazione che sa ricomporsi immediatamente dopo. L’amore ha i connotati di un Dio, e chi quel Dio possiede saprà vedere il mondo dalla prospettiva di chi ha ali per volare. Amare vuol dire procedere in quel rito iniziatico che darà conoscenza nuova sul mondo: si apre, nella propria dimensione interiore, uno squarcio d’assoluto che esperiamo del tutto. E quando i sentimenti ritornano freddi, le nostre menti ritornano grevi e necessitano di tornare al suolo, scorre in noi il fiume della dimenticanza, desiderando ancora una volta ciò che comunica l’estasi.

L’amore ci cambia non ci lascia mai come prima, ci accompagna tramite gli occhi dell’altro nell’esperienza del nuovo; in questo senso ribadisco l’identità tra amore e morte: che se la morte è solo metafora di una successiva rinascita, in ogni luogo in cui l’amore si nasconde saprà accompagnarmi a crescere. 

Amore è ciò che permette, grazie agli occhi dell’altro, di rifletterequei lati di noi stessi che da soli mai scorgeremmo. E per dirlo con quella libertà poetica da cui l’amore sa trarre molto vigore, penso a quella poesia chiusa e coincisa di Rimbaud, che sottolinea,sostenuto da tutta la tradizione lirica, quanto questo propenda alla dimensione dell’eternità, in cui il mare è convenuto con il sole,fino a congiungere quei pezzi di mondo in un unico volto: il nostro.

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