ANARCHIA VOL.3: le società tribali

Una delle critiche più frequenti per liquidare la teoria anarchica della società è l’obiezione che essa può forse valere per una piccola isolata comunità primitiva, è impensabile che possa trovare applicazione nell’ambito delle grandi e complesse società industriali. Ma questo giudizio è basato sul misconoscimento della natura sia dell’anarchismo sia delle società tribali. Il fatto che esistano o siano esistite società senza governo e senza autorità istituzionalizzata, con codici sociali e sessuali molto diversi dai nostri, è un dato che interessa i difensori della teoria anarchica, se non altro per contestare le insinuazioni che le loro idee siano contrarie alla “natura umana”. Nella letteratura saggistica si trovano spesso affascinanti descrizioni società tribali anarchiche, comunità in cui sembra ancora esistere l’età dell’oro, come tra gli Eschimesi ignari del senso di proprietà o tra i Trobriandesi che non hanno problemi sessuali.

Ora, i primi viaggiatori europei di ritorno dall’Africa raccontavano in toni compassionevoli o condiscendenti del suono cacofonico dei tamburi suonati dai selvaggi nelle foreste, o di capanne fatte di paglia e fango, senza scorgere, accecati come erano dalla presunzione sulla superiorità della loro società, la meravigliosa raffinatezza della cultura di altri popoli. Oggi ci rendiamo conto che c’è da spendere una vita intera ad analizzare la struttura della musica negra o a studiare ingegnosa varietà dell’architettura africana. Casi analoghi, sono il fatto che i primi osservatori descrissero come promiscuità sessuale o matrimoni di gruppo ciò che poi si è rivelato essere solo un particolare tipo di struttura familiare, oppure il fatto che vennero descritte come anarchiche determinate società che invece ad un esame più accurato rivelarono l’esistenza di metodi di controllo e di costrizione al loro interno che le ha poste sullo stesso piano delle società autoritarie.

Se vogliamo utilizzare validamente i dati dell’antropologia da un punto di vista anarchico, dobbiamo affrontare il problema del ruolo della legge in questo tipo di società con distinzioni concettuali più sottili. Che cosa caratterizza la “legge”? Non possiamo limitarci all’analisi di un giurista per il quale la legge è ciò che è stabilito in un tribunale. Di fatto occupandoci della legge primitiva ci troviamo di fronte all’interno di un sistema in cui non esistono specifici codici legislativi, emanati da un’autorità centrale, ne esistono istituzioni giuridiche formali che abbiano la stessa natura dei tribunali. Tuttavia ci sono delle regole per cui si esige il rispetto, e che in genere vengono rispettate, e ci sono mezzi per garantire un certo grado di rispetto.

Dosaggio la legge e l’autorità, Kropotkin, riporta: ” Molti viaggiatori hanno descritto le abitudini di varie tribù assolutamente indipendenti in cui non esistono né capi né leggi, e i cui membri tuttavia non risolvono le controversie con la forza, in quanto la vita sociale stessa ha finito per sviluppare sentimenti di fraternità e di Comunanza di interessi, e così preferiscono rivolgersi ad una terza persona per risolvere i contrasti.”
Laura Bohannan ha studiato la società dei Tiv, una comunità di 800000 persone che vivono sulle rive del fiume benue nella Nigeria settentrionale. Gli atteggiamenti politici dei Tiv sono resi dalle due espressioni “guastare il paese” e “arricchire il paese”. Qualsiasi atto che turbi il decorso tranquillo della vita sociale duepunti guerra furto stregoneria o litigio guasta il paese; la pace la restituzione ho un arbitraggio efficace lo arricchiscono. La Bohannan aggiunge come avvertimento di non falsificare la posizione sociale e culturale di anziani o di altri individui autorevoli isolando alcune caratteristiche del loro ruolo e considerandolo semplicemente “politico”… Come è fatto positivo, non negativo, perché proprio per l’assenza di ogni concetto indigeno di politico un sistema parcellare di questo tipo può funzionare. questa società può esistere proprio per la complessa convergenza di interessi e fedeltà reciproche mediati dal connettivo di modelli culturali, sistemi di organizzazione sociale e istituzionale, con la compattezza morale che ne deriva.
Ancora abbiamo i Dinka che sono una popolazione di circa 900 mila unità che vive nel Sudan meridionale ai bordi del bacino centrale del Nilo. All’interno di questa popolazione si accetta il fatto che quando per qualunque ragione una sottotribù diventa più grossa è più forte, essa tenda a scindersi politicamente dalla tribù a cui apparteneva e a comportarsi come una tribù autonoma. Allo stesso modo appare naturale che le parti di una grossa sottotribù si distanzino politicamente l’una dall’altra con il loro ampliarsi numerico, e che una parte particolarmente grossa e fiorente si stacchi dalle altre. Dal punto di vista dei Dinka è una tendenza naturale quella che porta le parti in cui si suddivide la loro struttura politica a distanziarsi progressivamente con il tempo parallelamente all’aumento di popolazione.
Lascio a voi l’approfondimento delle tribù berbere dell’Atlante, in cui non vi era nessun potere coercitivo che facesse rispettare la legge, se non dei giuramenti collettivi i quali si reggevano su norme non scritte ma su consolidati codici di comportamento e rapporti emotivi.

Se descrivo come vengono risolti i conflitti in società senza governo non è certo per suggerire che anche noi dovremmo introdurre i giuramenti collettivi come mezzo per rafforzare le norme sociali, ma per rendere evidente che non l’anarchia ma le strutture statali sono una rozza semplificazione dell’organizzazione sociale e, che è l’estrema complessità di queste società tribali che garantisce il loro funzionamento efficace.

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