Ci meritiamo il politically correct

Questo sarà un articolo un po’ sfogo, un po’ polemica, ma forse è l’unico modo per affrontare il tema di cui voglio scrivere oggi. E’ un tema controverso, che sicuramente farà sbuffare molti di voi. Il problema, per assurdo, è proprio questo: non c’è niente per cui sbuffare quando si parla di politically correct e di linguaggio inclusivo. Stiamo parlando di parole, segni ortografici, saluti, niente in grado di cambiare la vita a noi privilegiati. Ma forse, per qualcuno, per le minoranze, fa tutta la differenza del mondo.

Devo ammettere che sono stufo di aprire i commenti sotto un qualsiasi post sui social che parla di questo argomento e leggere commenti tutti uguali da parte di tutti, indistintamente dall’età e il genere. Sono giovani e adulti a scrivere che queste prese di posizione sono senza senso. Sono uomini e donne a dire che “è stupido che Lufhtansa non permetta più il classico saluto con signore e signori per favorirne un altro più inclusivo”. La verità è che finché non siamo noi a richiedere un certo trattamento, ci sembra sempre di amputarci una parte del corpo quando dobbiamo sforzarci di cambiare una nostra abitudine, e allora ci inventiamo le scuse più disparate per smontare un tentativo rivoluzionario di rendere la nostra società migliore. 

Non capirò mai, poi, quelle persone che dicono “ma come può un saluto, una parola, una lettera ferire una persona o farla sentire a disagio?”. E’ difficile capire una situazione se non ci si è totalmente immersi. Lo è se si ha un privilegio e non c’è niente, nella lingua come nelle norme di buona educazione, che può realisticamente produrre disagio. Di fatto, a me non dà fastidio se, quando sono in un gruppo di ragazzi e ragazze, richiamano la mia, nostra attenzione con la parola “ragazzi”, perché io sono un ragazzo. Però magari fra quelle persone, in quello stesso gruppo, una ragazza è stufa di essere considerata parte di un collettivo di cui non si sente partecipe. Allora che differenza fa, per me, usare “scusatemi” anziché “hey ragazzi” per richiamare l’attenzione di un gruppo? Assolutamente nessuna. E lo stesso discorso vale per tutti i miei simili. 

Che poi, tutto questo non vuol dire “io sono migliore di voi”. Piuttosto è mio interesse scuotere anche solo una coscienza, perché questo sì che può fare la differenza. Far aprire gli occhi a qualcuno su questo tema ci aiuterà a migliorare il nostro modo di esporci. Senza limitarci in niente, ma permettendoci invece di fare del bene. 

Mesi fa ha destato tante polemiche l’imitazione dei tratti somatici di una persona asiatica da parte di Michelle Hunziker e Gerry Scotti, e prontamente il pubblico di Internet si è spaccato. Circa. Qui preciso: quello che mi fa più paura di tutta questa faccenda è che siamo ancora in pochissimi a renderci conto di quanto un gesto possa fare del bene o del male a qualcuno che non siamo noi. La stragrande maggioranza delle persone, di fatto, ha sostenuto i due conduttori di Striscia La Notizia contro la crociata che Diet Prada aveva indetto (giustamente) contro il loro sketch (peraltro, per niente divertente). O al massimo si è limitata a continuare a usare una fra le solite battute del caso: “Non si può più dire niente”, “Basta con questo politically correct”, “Che pesantezza”. Nessuno però pensa a quanto quel gesto, neanche all’apparenza innocuo a dire il vero, possa irritare, infastidire, turbare la comunità asiatica, che non a caso si è puntualmente mossa contro la gag proposta in prima serata su Canale 5.

Lo stesso discorso potremmo farlo sul tema della blackface, ancora oggi tabù, o sulla N-Word. Non è solo un modo per truccarsi, non è solo una parola, sono elementi discriminatori che per anni sono stati usati per denigrare la comunità nera. Finalmente, nel 2021, si presuppone ci sia un po’ più di rispetto e tolleranza verso le stesse persone che solo cento anni fa schiavizzavamo, per cui è lecito che i neri si aspettino un trattamento diverso, meno superficiale e goliardico. Ma no, evidentemente è solo il politically correct che non ci permette più di esprimerci liberamente.

2 risposte

  1. Ehi, ciao!
    Non mi piace usare il termine “politically correct” perché ormai è diventato un concetto peggiorativo di un atteggiamento che dovrebbe essere basato su un rispetto radicale. Anche perché non capisco più se il ‘politicamente’ si riferisce in inglese a “policy” o a “politics” e, dal mio punto di vista, a seconda del campo di riferimento cambia il suo senso.
    Se si riferisse al mondo politico partidario, allora mi sta bene che si sia “politicamente scorretti”, non perché io approvi quelle idee e le pratiche che propongono certi partiti, ma semplicemente perché, trattandosi la politica partidaria di rappresentanza… non so, credo che ci permetta di vedere il lavoro ancora da fare.
    Dall’altra parte, nella pratica sociale un po’ ci si impone dall’alto (grazie alle policy… che alla fine è influenzata dai rapporti di potere della politica partidaria). Ma una parte importante che agisce, secondo me, proprio sulla questione dei rapporti di potere, è il lavoro sociale dal basso.
    Per questo anche se è doloroso e fa schifo (e lo so, perché lo vivo come persona razzializzata), questi “incidenti” mettono sul tavolo il conflitto e la ferita ed è proprio lì che ci si deve impegnare. Sarà una lunga strada, ma non possiamo imporci, se non siamo abbastanza: alla fine chi viene ascoltato è chi fa più casino in piazza.

    Detto questo, a volte ho l’impressione che si scada nel ridicolo. Ti faccio un esempio preciso, perché si tratta proprio di questo, di esempi sociali concreti, proprio come hai fatto tu nel tuo articolo.
    Qualche anno fa, ai Billboards si è presentato un gruppo coreano, BTS… si esibirono con una canzone che all’interno usava il soggetto “tu” che in coreano si pronuncia “niga”, ma per evitare problemi cambiarono il testo o semplicemente evitarono di pronunciarlo. Non credi sia un po’ eccessivo? Mi sembra un gesto di censura insensato (censura non grave eh, lo dico perché non trovo un’altra parola). Non lo so, il caso mi ha fatto pensare a lungo.

    Saluti!

    1. Grazie per la tua osservazione! L’esempio che hai portato è uno degli estremismi che spesso emergono, ma sono casi molto isolati in fin dei conti. Sicuramente cambiare il testo della canzone è stato eccessivo e non doveroso, ma se, per esempio, nel pezzo ci fosse stata la N word, sarebbe stato giusto pronunciarla? Io penso di no. E questo, per quanto mi riguarda (e sono sicuro che pure la comunità nera sia della mia opinione) di sicuro non sarebbe stato un estremismo.

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