Estroversione ed introversione in fisiognomica e grafologia

Esistono due gruppi di leggi psicometriche fondamentali per comprendere il tipo umano dalla formazione anatomica del piano facciale. Entrambi formulate da Sigaud, sono in stretta relazione con la sua psicologia temperamentale d’origine.

Il primo gruppo riguarda le regole di dilatazione e ritrazione, secondo cui ogni corpo biologico in condizioni ambientali favorevoli si dilata e in condizioni ambientali sfavorevoli si ritrae. Lungi dal considerare la dilatazione già di per sé una vittoria introspettiva o ambientale, così come la ritrazione una sconfitta, i loro parametri di morfometria devono riguardare innanzitutto l’equilibrio strutturale del piano e, in secondo luogo, il contesto ambientale, storico ed evolutivo. Allo stesso modo è da intendere la seconda legge di Sigaud, secondo cui un corpo biologico stenico è attivo verso l’oggetto ambientale, al contrario di uno astenico che è in condizioni recettive rispetto allo stesso oggetto. Dal punto di vista degli indici muscolo-scheletrici mimici, ciò che è contrario ad una dolicocefalia è dunque un indice di dilatazione del muscolo mimico. Sia esso il muscolo frontale associato all’osso frontale che, insieme dal recettore della vista, compone il piano cerebrale; oppure sia esso il grande e piccolo zigomatico associato all’osso zigomatico e al recettore del naso, i quali costituiscono il piano affettivo; o ancora, sia il massetere, il buccinatore e il muscolo mentale associato alla mascella, alla mandibola e al recettore del gusto, che compongono, infine, il piano istintivo. Lo stesso vale per gli indici craniometrici: lì dove finisce il piano cerebrale, dunque indicato dalla glabella e dall’ectoconchion, dove finisce il piano affettivo, ovvero il nasospinale, e dove finisce il piano istintivo, ovvero il pogonion, se si possono osservare dilatazioni craniali di questi indici, allora vi è la presenza di una dilatazione del piano facciale interessato. Al contrario vi è ritrazione.

Abbiamo congiunto il ceppo mimico-espressivo della risata come espressione principale della meccanica mimica e craniometrica della dilatazione. Lo stesso assume la disciplina grafologica quando, nel valutare in grado il segno curva, affronta la sua correlazione assiomatica, che equivale secondo Moretti al tratto psicometrico dell’altruismo. E nella stessa fondazione grafologica, infatti, il frate francescano correla il segno curva con l’espressione mimica della risata, rifacendosi forse allo studio delle espressioni facciali che fu di Darwin e Mantegazza. Parliamo, però, della mimica della risata come di una mimica che va già ad incrociarsi con una meccanica inerente la seconda legge morfopsicologica, atta a definire anche la stenia della dilatazione. È per questo che Moretti afferma:

“Dalla fisiologia sappiamo che i muscoli che accompagnano il sentimento della benevolenza sono, specialmente, quelli facciali; ora il sorriso tende a impegnare tutti i muscoli facciali. Si osservi bene il sorriso, perché è importante per la grafologia dell’altruismo: esso solleva mollemente i lati delle labbra, senza produrre angoli, oppure producendo angoli appena percettibili. Il sorriso, a volte, si manifesta in una maggiore luce nello sguardo, facendovi tuttavia partecipare tutti i muscoli della faccia, che si spianano, per modo di dire, quasi per farvi spaziare l’affetto benevolo. Alle volte si diffonde tutto per il viso come, per l’orizzonte, il crepuscolo della sera. Il riso non è dell’altruismo, anzi l’altruismo si offende con il riso; e il riso è quello che conduce gli angoli anche acuti, dalla contrazione dei muscoli facciali[1]”.

Tale concetto è simile alla definizione della dilatazione secondo Corman:

“La predominanza espansiva dei Dilatati legata ad una sensibilità molto tollerante rispetto alle variazioni dell’ambiente, è alla base di un’ampia apertura, che determina un facile adattamento. Da ciò si deducono tutti i tratti del loro carattere e le attitudini della loro intelligenza[2]”.

Ora, il metodo riduttivo che concerne la morfopsicologia permette che le varie dinamiche psicometriche dell’uomo siano già riassunte secondo le leggi di Sigaud. Essa si rifà, infatti, alla filosofia del dinamismo e ne traduce gli elementi metodici secondo il metro riduttivo positivista. Al contrario, la grafologia è un ramo della psicometria che rinasce dalle polveri del positivismo del Novecento. Di conseguenza, la riduzione tiene conto sempre del metodo delle categorie e della contingenza apodittica di tali medesime classi grafometriche. Tuttavia, ignorando le diverse correnti filosofiche su cui si fondano, si vede come l’espressione della dilatazione antropometrica e grafometrica emerge in forma molto simile.

Ora, se la ritrazione è la privazione del grado di dilatazione, come il segno angoloso è la privazione del segno curva, allora emerge lo stesso grado di riduzione tra l’antropometria craniale del piano facciale e l’antropometria assiologica del piano grafico della scrittura. Tuttavia, per “privazione” si intende la quantità che basta a definire la dilatazione distinta dalla ritrazione o il segno angoloso distinto da quello curvilineo. Perché, infatti, per natura psicometrica dell’individuo e della specie, la dilatazione non è purezza quantitativa, ma prevalenza, come del resto la ritrazione rispetto alla dilatazione e, reciprocamente, la stenia e l’astenia per la seconda legge. Non a caso, una scrittura completamente curva, in grafologia, non è possibile osservarla, come non è possibile osservare una scrittura completamente angolosa. E anche quando questo appare, come nel segno irta, ne vengono fuori almeno due segni grafologici che, se non possono essere direttamente curvilinei, comunque sono implicati da esso.

Così una scrittura curva in grado elevato contiene in sé elementi di ritrazione, come uno stretto tra lettere o uno stretto tra parole. Lo stesso vale per gli indici craniometrici e per i muscoli mimici.Questo converge verso la comune legge di compensazione.

Quando, infatti, Moretti afferma che il segno curva non possiede sottospecie, si sta riferendo al fatto che, in sé, tale tratto, perché sostanziale, replica la considerazione aristotelica della sostanzialità, seppur riferita a qualcosa che è un grado, cioè una quantità, cioè un’accidentalità. Tuttavia, come ogni segno sostanziale, il tratto curvilineo fa partecipare del concetto psicometrico dell’estroversione altri segni grafologici che da esso sono implicati. Ovvero, i segni sostanziali sono i medesimi tratti craniometrici indifferibili per conformazione e temporalità e, dunque, sono pure i segni più diretti dell’identità temperamentale di un individuo.

Una contingenza del segno curva, che quindi appartiene alla classificazione della dilatazione intesa in ambito grafologico, è il segno angoli c, che è un ulteriore estensione morfologica di curva unita ad altri segni (come flessuosa, fluida, poca intensità degli angoli a o b, chiara e ricci dell’ammanieramento).

Al contrario i tratti sostanziali di ritrazione sono, per l’appunto, il segno angoli a (che riguarda l’egoismo della permalosità) ed il segno angoli b (che riguarda l’egoismo della tenacia). Ed essi implicano, a loro volta, altri elementi grafologici di introversione.

Moretti enuncia questa fisiologia del tratto angoloso:

“L’egoismo contrae i muscoli nella repulsione, e le contrazioni che si succedono, sia pure di breve durata, sono veloci nella successione e perciò formano angoli acuti; mentre i muscoli dell’altruismo, per modo di dire, si rilassano nella mestizia per la sorte del malcapitato, e danno luogo a una contrazione muscolare che si perde in questa rilassatezza, per cui l’onda è lenta e procede curva senza angoli o con angoli curvilinei[3]”.

E lo stesso fa Corman, sebbene la morfopsicologia sia meno introspettiva e più sociologica, dato che al termine soggettualeunisce maggiormente quello ambientale. E ancora, come già detto, alla sostanzialità immobile della filosofia aristotelica preferisce il dinamismo evolutivo, o l’evoluzione creatrice, di stampo bergsoniano. Lui stesso dice:

“La ritrazione non deve essere opposta alla dilatazione, come se fossero due stati simmetrici; poiché, in effetti, questa non è uno stato; è un processo attivo, un movimento verso: invece di sbocciare all’esterno, di estrovertersi in un movimento di crescita, di allargamento dello spazio vitale, si concentra nell’organismo al fine di provvedere alle funzioni essenziali e di assicurare il mantenimento della vita. La ritrazione non è atrofia, ma bensì un processo di difesa estremamente attivo[4]”.

Se la dilatazione è stata rapportata al riso o allo stupore, allora ben si evince dalla mimica della collera e della malinconia l’isomorfismo dinamico tra la struttura grafica degli angoli, tra la struttura craniometrica del piano facciale e la mimica stessa di ritrazione.

L’egoismo è così pronunciato da Moretti: “Noi trattiamo dell’egoismo, non in un senso illecito, ma sotto l’aspetto della cura dell’Io. Che questa cura dell’Io passi o non passi i limiti del giusto, ciò riguarderà la misura dell’egoismo, misura che viene stabilita anche dalla grafologia, ma non riguarderà la cosa in se stessa. Nel senso nostro l’egoismo si può definire con Schopenhauer: «La tendenza all’essere e al benessere». Certo che, sotto questo aspetto, ogni sentimento è egoista e questa definizione è ingiustificata, come si esprime Hoeffding (Saggio di una psicologia fondata sull’esperienza), il quale considera l’egoismo come un’irriflessione in cui, in conseguenza dell’esclusiva dominazione dell’istinto di conservazione, non si scorge, né si tiene conto del bene e del male altrui (Le.)[5]”.

Si esprime il carattere metrico dell’estroversione, dunque, come un’espansione dell’esperiente all’ambiente favorevole all’esperienza del soggetto. Fenomenicamente parlando, si capisce il carattere dell’estroversione, come del volgersi fuori dal sé, soltanto se si presuppone una causa a tale estroversione che procede da una forma eidetica tra il soggetto esperiente e l’ambiente esperito. L’estroversione è, dunque, quell’elemento fenomenico che estende il soggetto all’epidermide dell’oggetto ambientale, sia tale elemento un rapporto intellettivo con l’oggetto, oppure un rapporto affettivo o ancora un rapporto istintivo. Se dovessimo, perciò, adeguare l’estroverso ad un termine fisiologico, diremmo che è un iposensibile. Al contrario invece del retratto, la cui mozione trova vertice rispetto al sé che si conserva dall’ambiente, che si protegge per causa di discordia tra il medesimo sé esplicitato nella sua dimensione oggettuale e l’oggetto ambientale. Per mezzo dell’esempio precedente, diremmo che l’introverso è un ipersensibile, che accresce l’idealità del proprio sé nel proprio sé ideale in modo simile al dilatato che, invece, accresce l’idealità del proprio sé nell’ambiente di estroversione.

Ma, al contempo, se l’estroverso trova mozione posteriore al proprio sé, ovvero assume vertice rispetto all’oggetto che vuole comunicare, allora ciò che è dilatazione individuale è tendenza a dilatazione ambientale. Per antropologia stessa, infatti, non vi può essere differenza tra la dimensione soggettiva e quella ambientale. Ogni psicologia confluisce, perciò, nella sociologia. E se il piano sociologico, in termini psicologici, è fornito dall’ambiente, nelle tesi grafologiche il simbolo e l’immagine eidetica dell’ambiente è il piano in cui la scrittura viene impressa nella grafia, come può essere un foglio, e via dicendo.

Qui, però, il discorso è diverso rispetto alle tesi positiviste che, pur di denotare il concetto di ambiente, finisce per decostruire quello del soggetto. Perché un’antropologia filosofica non potrà mai ammettere che vi possa essere il concetto di ambiente senza il concetto di principio per cui l’ambiente come termine logico prende forma e denotazione, ovvero l’uomo stesso. E l’individualità di tipo estroverso o introverso è, in realtà, una condizione omeostatica tra l’oggettualità esplicitata dell’individuo e l’oggettualità esplicitata dell’ambiente: la prima di tipo concorde e la seconda di tipo discorde.

Ora, l’estroversione è una logica psicologista dell’altruismo perché, se dovessimo rappresentare l’estroverso, lo diremmo necessariamente in una simile posizione rispetto all’altro, per il quale sussiste la definizione di rapporto estroversione-altruismo. E l’introverso tende al proprio sé perché, se lo dovessimo rappresentare, diremmo che è in una posizione discorde rispetto all’altro e, dunque, non può fare a meno di volgersi verso il proprio ego. I concetti di concordia e discordia non equivalgono ai concetti di simpatia e antipatia usati volgarmente, ma riprendono la medesima disposizione che già Scheler ipotizzò per denotare il tipo psicologico rispetto alla familiarità che trova nell’immagine del sé reale e del sé ideale nell’oggetto ambientale.

Ora, anche la classificazione che vi è tra una variazione ambientale sentita dall’estroverso o dall’introverso, è spesso una facilitazione di giudizio. Non è vero, infatti, che l’iposensibilità del dilatato lo porta a tollerare ogni mozione ambientale; né l’introverso è colui per il quale l’ipersensibilità che lo definisce per tendenza lo conduce a conservarsi e a proteggersi da ogni ambiente e da ogni mutamento. Diciamo, anzi, che l’accettazione del cambiamento è più favorevole all’introverso che all’estroverso, il quale è un conservatore. Non potrebbe che essere tale infatti, se la sua tendenza è quella di esplicitare la propria natura anche in ciò che è l’ambiente o, più in particolare, l’oggetto ambientale in quanto tali. Così come l’introverso non può non esplicitare la propria natura in ciò che è il proprio sé, ovvero la sua stessa oggettualità. In funzione dell’idealità concepita dal frutto della sua introversione. Il “proselitismo”, potremmo dire, della propria eidetica formale trova quindi nell’estroverso l’ambiente composto dagli individui e nell’introverso i frammenti ideali della costituzione del proprio sé.

Pertanto, l’estroverso è generalmente colui che, davanti all’altro, manifesta le disposizioni tipiche dell’estroversione. Se è dolore dell’altro, e il dolore piega in ginocchio colui che soffre, il dilatato solitamente non può non fuggire dall’omeostasi che lo preoccupa a piegarsi al dolore altrui: l’estroversione è questo tipo di generosità. Se è la gioia dell’altro, egli la moltiplica. Diversa è la generosità dell’introverso, che non può non esplicitare l’altruismo morale se non nella forma dell’egoismo. Se l’estroverso tende all’altro in quanto altro, l’introverso tende all’altro in quanto vede un altro sé da conservare e da proteggere. Figli dell’introversione sono il risentimento e la tenacia, mentre figli dell’estroversione sono la bontà comunemente detta e la spontaneità. L’ipersensibilità dell’introverso lo porta a conservare e proteggere l’altro come farebbe con il proprio Io o con il proprio ego; l’iposensibilità dell’estroverso lo conduce ad espanderlo come farebbe con l’altro che di sé. L’estroverso tende allora all’altro di sé (altruismo) e ad altro da sé (dilatazione), l’introverso invece tende all’ego di sé (egoismo) e all’idealità ottenuta dalla propria idealizzazione (ritrazione). L’espansione è infatti idealità fuori dal sé e la conservazione è idealità del sé.


[1] G. Moretti, Trattato di Grafologia – Intelligenza, Sentimento, decima edizione, Edizioni Messaggero, Padova, 2002, pag. 49.

[2] L. Corman, Viso e carattere – iniziazione alla morfopsicologia, traduzione di E. Boille, Edizioni Mediterranee, 2003, pag. 25.

[3] G. Moretti, Trattato di Grafologia, pag. 50.

[4] L. Corman, Viso e Carattere, pag. 26.

[5] G. Moretti, Trattato di grafologia, pag. 52.

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