Truffaut per il suo Jules et Jim disse: “La coppia non è un sistema soddisfacente, ma non ci sono alternative”. Questa affermazione potrebbe ben valere come morale anche per la pellicola “Dramma della gelosia” di Ettore Scola: una storia di tormento soprattutto per Oreste, incarcerato e condannato non solo alla prigionia ma anche alla miseria, al vagabondaggio e a una vecchiaia di rassegnazione e confinamento dal carattere paradossalmente dostoijevskiano.
La gelosia costituisce il fil ruoge che lega caterve di storie – specialmente d’amore – e dal finale drammatico; è il tormento, dapprima interiore, che sembra spesso preannunciare la catastrofe. Allora non è forse lecito chiedersi se ad “inquinare ed uccidere il sentimento” non sia solo la paura, ma anche e soprattutto la gelosia? È proprio questo impulso emotivo che incrina la purezza di un amore, di un’amicizia, di un affetto: in “Attrazione fatale” di Adrian Lyne è Glenn Close nei panni di Alex che resta vittima della sua stessa gelosia, in “Follia” di Paul McGrath sono i deliri di gelosia di Edgar a portarlo alle violenze e all’omicidio, in “La casa degli spiriti” di Isabelle Allende sarà la gelosia di Esteban a far incombere la prima vera tragedia sui personaggi, e si potrebbe continuare all’infinito.
Che cos’è dunque la gelosia se non una spudorata e cancerogena brama di possesso, un profondo sentimento di insicurezza, una celata assenza di self-confidence, una tediosa mancanza di fiducia nei confronti di un partner?
Non è tutto. A definire ancora meglio questo «ζελος» greco nella sua traduzione più acerba e acuta, c’è la cosiddetta sindrome di Otello. È la gelosia che approda al suo estremo peggiore: delirante e ossessiva, essa porta un partner ad assumere un atteggiamento paranoico, ostile e possessivo accompagnato da pretese di controllo e dominio. Praticamente la fine di un amore, o la presa di coscienza che non ci sia mai stato. Perché l’amore nasce dall’incanto e cresce dalla radice della reciprocità: l’unidirezionalità è propria di un treno che parte, di un vento che soffia da nord, di un addio sussurrato; non di un amore. Quando non c’è bidirezionalità e si raggiunge la consapevolezza che in una coppia, ad amare, sia un solo individuo, si può avere il coraggio di affermare un eroismo: l’eroismo dell’accettazione, che poi è una virtù, e ce lo insegnano l’arte, la letteratura, la storia.
Così la gelosia fa da inutile orpello barocco a una relazione finita o probabilmente mai nata col timbro dell’Amore.
D’altro canto, è facile immaginare il ruolo significativo che la reciprocità effettivamente svolge all’interno di un rapporto saldo: l’aggettivo “reciproco” non si accompagna alla sola giovane promessa di felicità e gioia, ma anche a parole come “fiducia”, difficili ma in fondo banali. È proprio la fiducia a scardinare qualunque tipo di presupposto sul quale possano basarsi episodi di gelosia; fiducia è promessa e premessa di bene e pace inter-relazionale.
La gelosia si riduce a sentimento gretto e inutile ai fini della ricerca della “felicità”, irrazionale seppur umano, di certo tossico.
Un rapporto sgretolato può innescare una recrudescenza del sentimento di gelosia e salvarsi da questo status non è forse appannaggio di pochi? di chi fa della rassegnazione una virtù, un tempo nuovo, una vita vissuta?
Eppure Kundera non sarebbe d’accordo e il passo di “Amori ridicoli” ce lo dimostra: “La gelosia non è certo una qualità piacevole, ma se non se ne abusa (se è unita a una certa moderazione) ha in sé, a parte i suoi inconvenienti, anche qualcosa di commovente.”