Questo fenomeno caratteristico si verifica quasi universalmente là dove una direttiva completamente unilaterale domina la vita cosciente, così che col tempo si forma una contrapposizione inconscia altrettanto forte, che dapprima si manifesta con un’inibizione delle prestazioni della coscienza e in seguito con un’interruzione dell’indirizzo cosciente.»
Carl Gustav Jung,Dizionario di Psicologia Analitica
Perchè credere nella psicologia archetipica?
Munitevi di alcune figure retoriche come strumenti: la metafora, la similitudine o l’analogia, il paragone o l’allegoria. Immaginatevi di ritornare agli albori dell’antica civiltà greca, culla delle discipline e dei miti, regno delle Poleis, degli uomini e degli Dei dell’Olimpo. Con strumenti degni del miglior fabbro forgerete degli archetipi, dei “primi esemplari” di simboli, coniati e tratti alla luce da questa terra attraverso una storia secolare di narrazioni epiche, drammaturgiche e tragiche. Queste entità, frutto di un lavoro collettivo, costituiranno lo scheletro della vostra psyche, attraverso cui le vostre esperienze troveranno un contenitore e mitemi e mitologemi daranno loro la forma del vostro sentire.
La psicologia, che si erge grazie allo slancio della storia e la tradizione millenaria, si costruisce soprattutto a partire dal contributo di ogni singolo uomo che abbia poggiato piede sulla terra, poiché vita dopo vita i nostri avi hanno contribuito a farci confluire in quello che siamo tutt’ora: i diretti discendenti del nostro passato psichico. Anche dal punto di vista storico -e mi riferisco a quegli esatti momenti in cui l’amore per la filologia risorgeva ritmicamente nella storia dell’uomo- si assiteva allo slancio nostalgico verso il passato, definito ‘classico’ proprio perché il suo regno è paradigma, la sua sostanza è di prim’ordine, come fonte a cui attingere dagli sfondi mitici. I miti greci per la precisione, non sono che il prototipo delle narrazioni dell’anima, della psiche -o con termini più contemporanei- della coscienza dell’uomo. Qui ogni Dio incarna e personifica un aspetto ben preciso del carattere umano, e la sua storia è la storia dei nostri flussi dell’anima. Diversi autori americani si sono sbizzarriti nella stesura di potenziali tassonomie, di determinate classi di archetipi per tipi di personalità, se non addirittura una tipologia di Dio per ogni personalità. Questo gioco di corrispondenze tra il Dio e l’uomo, sebbene si sviluppi in un contesto pressoché povero di senso scientifico, è in grado di suscitare curiosità anche solo per la forte stravaganza delle idee. E’ il caso dei libri della psicologa Jean S. Bolen quali Le Dee dentro la donna o Gli Dei dentro l’uomo, che ci spingono ad immedesimarci in un particolare Dio o Dea per comprendere noi stessi alla luce delle loro storie.
E se provassimo a cimentarci in un evento squisitamente psicologico degno di fascinazione come i sogni? Allora James Hillman ci viene incontro e ci offre un suggerimento: che cosa sono i sogni se non un passaggio, un ponte comunicante tra due mondi: giorno e notte, conscio e incoscio? E quali prove concrete possediamo per ritenere uno dei due mondi più concreto e materiale dell’altro? D’altronde non son stati pochi i filosofi a suggerire come sia difficile distinguere la realtà dal sogno e viceversa: che la luce diurna di Apollo non sia l’unica fonte grazie a cui la vista e l’anima si nutre? Forse anche la Dea Nyx offre occasione di oltrepassare le spire cieche della notte ignota? In questo articolo lascerei spazio ad un’opera continuativa del pensiero junghiano, che portandosi con sé ombre, immagini ed archetipi, non oserà fare luce ma potrà solo trascinare il lettore attraverso l’altro lato del ponte. James Hillman, filosofo e psicoanalista americano, ne I sogni e il mondo infero, decide di fare un salto ulteriore e portare avanti un’analisi che a partire da Freud, cerca di valicare tutti i limiti del pensiero “conscio” e che, sottraendosi alla luce chiara della ragione incontestabile, prova a calarsi nelle tenebre di uno scenario che presiede il trono di Ade. Freud apre la strada all’interpretazione dei sogni, annunciando che questi siano la via regia dell’inconscio, attraverso cui attingere a quel contenuto rimosso dalla coscienza vigile, che sottrae alle nostre facoltà per lo più i desideri proibiti, le volizioni incompatibili con le redini del mondo. I sogni allora saranno l’espressione di smanie, guazzabugli di sesso, violenza, tabù e promiscuità d’ogni genere.
Con Jung l’inconscio si deterge dalla sessualità e, servendosi della sua proprietà intrinseca di compensazione, provvederà ad aiutare il sognatore ad integrare le sue parti frammentate con il sé vigile.
La morte è quanto vi è di più terribile e sostenere l’opera della morte è quel che ri chiede la più grande forza. FriedrichHegel, Fenomenologia dello spirito
Ma è proprio questo sè vigile che non convince James: e se i sogni non servissero alla veglia, al mondo diurno? Il punto in questione di Hillman, utilizzando la parafrasi del teatro greco e rovesciandolo nell’anfiteatro, passando dal logos al mitos, considera i sogni in relazione all’anima, l’anima, in relazione alla morte e infine la morte in relazione al suo re: Ade.
Le nostre radici etniche attingono a grandi configurazioni del mondo infero: il regno celtico del Dagda o di Cerunnos, lo Hel germanico, il biblico She’ol. Tutti svaniti; e come è pallido il fuoco dell’inferno cristiano!” Dove sono finiti? Dove sta la morte quando non è più sotto gli occhi? Dove vanno i contenuti della coscienza quando eludono l’attenzione? Nell’inconscio, dice la psicologia. Il mondo infero è finito nell’inconscio: è addirittura diventato l’inconscio.
Una cultura come la nostra, pervasa dal Cristianesimo, ha relegato la morte all’assoluto negativo, contrapponendolo ad una vita che di per sè è immortale e non ottempera la morte. Ma la Morte, se considerata non come mero nome, ma come il luogo, l’intero regno del mondo per assonanza oscuro, ctonio e sotterraneo con tutte le simbologie che esso raccoglie, diventa la parte integrante di noi stessi. Riprendiamo gli strumenti forgiati all’inizio del testo e tuffiamoci nella psiche: Hillman è dell’idea che la morte sia il modo più profondamente radicale di esprimere questo slittamento della coscienza, quando questa decide di svincolarsi dal giorno e di passare nella notte. I sogni stanno all’inferno quale regno dei morti, e noi, come Orfeo che si incammina nell’Ade, iniziamo a concepire il ruolo della morte. Ade è infatti sia il Dio, sia il nome del suo regno e mitologicamente possiede caratteristiche ben note e precise: l’amore per il nascondimento; per la creatività e fertilità, ricollegabile allo stesso terreno in potenza di germinare alle soglie degli ultimi freddi invernali; la depressione e la malinconia le fanno da padrone; ma anche il coraggio stesso. Il nostro inconscio cela per noi verità profonde e rivoluzionarie, attingibili solo attraverso la morte, la quale, infatti, per i greci non è che un passaggio obbligato dell’anima per immolarsi al cospetto del Dio. E sempre per i greci, morte e sonno sono Fratelli: esiste allora un legame inscindibile tra la realtà del sogno e della morte, ricollegabili agli Dei omerici di Hypnos e Thanatos, che accompagnavano gli uomini nell’ultimo travaglio.
La morte per le anime è
divenire acqua, la morte
per l’acqua è divenire terra,
e dalla terra si genera l’acqua, e dall’acqua
l’anima
Eraclito, infine, con parole dal sapore oscuro, ci lascia intuire come morte e vita siano implicate in una circolarità che ripete eternamente i suoi opposti: la morte si nutre della vita, e la vita si nutre della morte.
Il mondo infero è lo sfondo sotterraneo a cui dobbiamo attingere per rinsavire noi stessi, al prezzo dell’estrema sofferenza. E i sogni come ci vengono in aiuto? Dopo un breve ammonito sulla pratica di esegesi dei sogni, James Hillmann ci propone una lettura simbolica delle immagini più comuni che i sogni si lasciano sfuggire. Mai interpretare le loro immagini al cospetto della vita diurna, mai credere che i sogni ci possano aiutare nel mondo esterno, la res extensanon è contemplata dai sogni che parlano esclusivamente delle nostre realtà più prossime e profonde. Se si pensa alle rappresentazioni dell’inferno, lo si è dipinto come il più caldo dei luoghi, in cui il fuoco divampa e non risparmia nessun’anima, o come un regno di ghiaccio il cui Re è incastonato come una gemma in una landa glaciale. Il mondo infero si ricollega anche agli olezzi dei fumi, degli odori, alle ombre, alle grotte uscure e intestine o agli escrementi. I simboli onirici non sono imprescindibili dal loro regno.
Hillman propone così dei motivi classici:
- Nero
- Malattia
- Animali
- Corpo d’acqua
- Amnesie
- Ritardo
- Psicopatie
- Porte e cancelli
- Odore fumo
la cui interpretazione serve a restituire all’uomo quegli strumenti ormai perduti, attraverso cui orientarsi in questa selva d’immagini. Ne parlerò in uno dei prossimi articoli. In quello immediatamente successive tratterò, invece, dell’analisi di quei sogni ritenuti collettivi, fonti da cui la nostra psiche si nutre.