Quando si parla, comunemente, di “Olimpiadi” non si fa caso al fatto che questo termine sia corretto nel
linguaggio colloquiale ma, da un punto di vista prettamente storico, risulti errato. Occorre distinguere, difatti, quelli che sono definiti “Giochi olimpici antichi” e “Giochi olimpici dell’era moderna”; ne consegue, poi, la
riduzione in “Olimpiadi”.
Ad ogni modo, tutti conosciamo – quantomeno per sommi capi – la storia dei Giochi olimpici antichi, nati
nella città di Olimpia in Grecia e svoltisi dal 776 a.C. sino al 393 d.C., totalizzando circa 292 edizioni. Restano ancora oggi, però, dubbi inerenti alla figura e al fatto che diede inizio allo svolgimento dei Giochi. In ambito moderno, invece, i Giochi olimpici vennero ripresi – nonché riformulati a seguito dell’invenzione di nuove attività sportive – dal barone Pierre de Coubertin negli ultimi anni dell’Ottocento, più precisamente nel 1896, dando il via alla prima edizione ad Atene, nello stesso anno; da lì in poi, l’idea di istituire e separare “Giochi olimpici estivi” e “Giochi olimpici invernali”.
Ponendo fine all’excursus storico-culturale di cui sopra, occorre analizzare quello che è il titolo di questo
articolo: “Il paradosso dei paradossi è tutto greco”. Seppur, probabilmente, fraintendibile con lo studio dei
paradossi greci (tra tutti, i Paradossi di Zenone), non si può che scrivere di “paradosso” anche nel caso di cui
seguito si verrà a trattare. Come leggibile in precedenza, appare di facile comprensione la nascita dei Giochi Olimpici, il momento esatto in cui – per la prima volta nella storia – si decide di rendere i movimenti del corpo, le arti, i talenti, competitivi, e quanto scritto accadde senza dubbio alcuno nella Grecia antica.
Oggi, quella stessa Grecia, culla della storia, della filosofia, dell’arte e dei Giochi olimpici, risulta protagonista del più ignobile sopruso nei confronti del suo sport, dei suoi atleti che – nei giorni scorsi – hanno partecipato nella competizione mondiale per eccellenza.
La Grecia, Paese già colpito dalla corruzione, dalle guerriglie civili, da una crisi economica che non decide ad arrestarsi, ha un interesse verso i propri atleti a dir poco nullo, se non basilare. Se, difatti, un numero
consistente di atleti italiani indossa una divisa delle forze dell’ordine, avendo dunque una retribuzione certa
da parte dello Stato, ciò non accade nei paesi greci, dove è emersa di recente la storia di Theodoros Iakovidis, categoria 96kg e atleta nel gruppo B di sollevamento pesi. Dei media italiani, non che fosse una novità, non ne argomenta nessuno, eppure il racconto di Iakovidis è a dir poco straziante.
In una conferenza stampa alle TV greche, l’atleta annuncia il suo ritiro. Fin qui nulla di anormale, se non fosse per un piccolo grande dettaglio: la costrizione. Il sollevatore olimpico, difatti, è stato costretto ad appendere le scarpe al chiodo denunciando le estreme condizioni di disagio degli atleti ellenici; si viene a conoscenza, ad esempio, di una retribuzione di 200 euro mensili. Compenso, minimo, che per ovvi motivi non permette di far fronte neanche a condizioni di impossibilità sopravvenuta a livello fisico: quando un atleta – racconta– cade infortunato lo Stato greco non pone alcun sostegno finanziario. Per di più, lo stesso Iakovidis, rende noto come non fosse stato raro ritrovarsi a piedi per raggiungere i luoghi degli allenamenti, per il semplice fatto che non disponesse dei soldi per la benzina.
Ad ΑΠΕ-ΜΠΕ, a seguito della gara nella quale ha sollevato 338kg, denuncia: “Questa prestazione non
rispecchia i miei sforzi. Perdonatemi se mi trema la voce, ma questi sono i miei ultimi momenti in Nazionale.
Ho avuto qualche problema di infortunio dopo l’Europeo, tra aprile-maggio e inizio giugno, ma dopo un mese sono stato costretto ad allenarmi in maniera pesante e regolare. Ho fatto più di quello che feci negli ultimi giorni in allenamento” e continua “ho sbagliato l’esecuzione, ma non piango per il dolore fisico. Piango perché è tutto finito. Purtroppo, non posso esibirmi al 100% e avere la testa calma per allenarmi ed essere in grado di eseguire ciò che è opportuno attribuire a questa bandiera che indosso. Chiedo scusa se per qualcuno possa sembra la stia mettendo sotto i piedi, ma sono troppo stanco e non sopporto più questa situazione. È molto triste vergognarsi di andare dal fisioterapista perché non prende i tuoi soldi sapendo la tua condizione. E non lo sopporto, voglio calmarmi e tornare dai miei e abbracciarli e ringraziarli”.
Theodoros Iakovidis ha concluso i Giochi Olimpici piazzandosi all’11° posto nei 96kg maschili, dietro al
vincitore del Qatar Meso Hassona dei 64kg. Pyrros Dimas, presidente della Federazione greca di
sollevamento pesi e direttore tecnico di USA Weightlifting, ha affermato che la storia di Iakovidis è “una storia delle difficoltà che abbiamo attraversato negli ultimi 10 anni” dopo la crisi economica.
In tutto ciò, però, ancora ad oggi, 11 agosto 2021 alle ore 13:00 spaccate, nessuna televisione italiana, nessun giornale, nessuna rivista, neanche una radio, ha avuto la decenza di rendere nota una storia non solo
strappalacrime, ma ingiusta sotto ogni fronte sportivo e – in senso lato – finanche giuridico. La Grecia è stata
tra le firmatarie della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Grecia ha firmato per rendere
effettivo l’art. 1 (“la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”), l’art. 15 (comma 1,
“ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata”), l’art.
21 ai sensi del principio di non discriminazione, l’art. 31 per “condizioni di lavoro giuste ed eque” e – per
concludere – l’art. 35 in rigore della protezione della salute, secondo la quale ogni individuo “ha il diritto di
accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizione stabilite dalle legislazioni e
passi nazionali”.
Il quesito non può che sorgere spontaneo: qual è l’utilità, nel caso pratico, della legge se quest’ultima
permette ciò che condanna, nel silenzio dei colpevoli?
Probabilmente quanto scritto potrà risultare drastico, eppure si pone difficoltà a comprendere come il caso
di un uomo – prima ancora che atleta, e dunque soggetto di diritto – sia nel limbo del menefreghismo
assordante, nel totale disinteresse di quella che è una carriera sportiva mozzata dallo stesso Stato di cui per
anni ha indossato orgogliosamente la bandiera in petto.
Una risposta
La crisi economica sembra la madre di tutte le sciagure [sopratutto] dei Paesi più deboli e ho l’impressione, leggendo l’articolo, che la causa principale sia individuata nella limitata propensione di un popolo al sacrificio ed alla sobrietà, nonché ad una scarsa attenzione alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. La questione è molto più complessa e se l’atleta greco si trova in quelle condizioni, i veri responsabili della situazione sono da ricercare in altri luoghi e latitudini.
Per trovare risposte alla eccellente domanda che poni in conclusione dell’articolo, mi permetto di consigliarti la lettura dell’ultimo saggio dell’ex Ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis.
La questione greca merita un’attenzione particolare, la carta fondamentale dei diritti dell’uomo loro l’hanno cominciata a scrivere oltre 2500 anni fa e, se sono in questa condizione oggi, lo devono sopratutto a chi quella carta l’ha ridotta ad un inutile feticcio popolare.
Marco Biancolini