KITSCH: cosa è bello e cosa è brutto?

Un immagine di Cristo psichedelica associata ad un gattino bianco dal musetto rosa. Un gabinetto ricoperto di paillettes. Adolf Hitler che al posto di indossare la sua divisa verde militare ne indossa una color blu elettrico. Chi, almeno una volta, non è rimasto ipnotizzato da questi oggetti eccentrici e fuori dalle righe che nonostante il loro potere attrattivo vengono definiti robaccia, vengono definiti KITSCH?

Il termine KITSCH, coniato per la prima volta nel 1860 e in uso nella sua attuale connotazione dagli anni ’20 e 40′ del ‘900 nella letteratura critica tedesca, indica, come suggerisce la nota enciclopedia Treccani “oggetti presuntamente artistici, ma in realtà caratterizzati da ornamentazione eccessiva e dozzinale, banali e di cattivo gusto” e, aggiunge l’importante fonte, “indica ogni degradazione in senso manieristico dell’opera d’arte che, nella moderna civilità di massa, assume aspetti rispondenti, quasi sempre grossolanamente, alle esigenze estetiche di destinatari mediamente acculturati”.

Se avete, dunque, mai provato tenerezza per il Cristo col gattino o avete ammesso di trovare affascinante il gabinetto ricoperto di Paillettes, sappiate di apprezzare cose banali e di cattivo gusto ma, soprattutto di essere “mediamente acculturati”.

Ci si chiede: qual è questa commissione di giudici dell’etere cosmico che stabilisce e distingue l’arte “bella” e degna di lode da quella “Kitsch”? La risposta, apparentemente, è semplice: nessuna. Non esiste, non può esistere, nessuna commissione o legge che possa definire ciò.

Se si riconosce la bellezza nella forma e nell’equilibrio di una statua dell’arte greca, si può riconoscere la bellezza anche in un gabinetto ricoperto di paillettes. E’ chiaro che le due opere non si potranno mettere a confronto, semplicemente perchè frutto di epoche, dunque ideali, credenze, abitudini differenti, ma non si può dire che l’una sia meno bella dell’altra fino a quando esisterà un concetto chiamato “relativismo” o, più semplicemente, “gusto” che varia da persona a persona.

Negli anni ottanta, quando Milan Kundera scrisse L’insostenibile leggerezza dell’essere diede un proprio significato al “Kitsch” che ne smaschera l’ipocrisia del termine: egli partì da una premessa secondo cui, dietro tutte le fedi europee politiche e religiose, il mondo sia indiscutibilmente giusto e l’uomo indiscutibilmente buono, pertanto è giusto che si moltiplichi. Chiama questa fede: accordo categorico con l’essere. L’uomo, però, deve fare i conti con un’attività fisiologica che mette in discussione quanto detto, un’attività ritenuta vergognosa dalla società e dai personaggi con cui Kundera ha a che fare: la defecazione. Essa, infatti,nonostante sia parte integrante, e necessaria, dell’uomo, da un punto di vista metafisico sembra mettere in discussione la creazione stessa: non accettandola, come fa notare uno dei personaggi del romanzo, “chiudiamo la porta quando la dobbiamo fare”, non si fa altro che non accettare la creazione stessa. Nonostante ciò esiste, fortunatamente, un modo per preservare l’accordo categorico con l’essere e negare la defecazione e i suoi prodotti vergognosi: il Kitsch.

La definizione dello scrittore ceco si presenta come la conseguenza della definizione di Kitsch oggi in uso: mentre quest’ultima ne dichiara lo squallore, la prima lo nega. L’ipocrisia di entrambi i termini, che Kundera probabilmente cercò di dimostrare, sta nella mancata accettazione totale dell’uomo e nella negazione di esso: il “brutto”, così come il “bello”, sono prerogative che l’uomo possiede ed esercita da quando è comparso sulla Terra. L’esistenza di queste due caratteristiche estetiche, e non solo, risponde ad una legge filosofica che è quella degli opposti, dei contrari che governano l’uomo e il mondo, creando un equilibrio. Rifiutare questa parte che non risparmia alcun uomo, significa rifiutare sé stessi. Come si fa a rifiutarlo se ne siamo intrisi e ci viviamo dentro?

Gli esempi di differenti Kitsch che fa Kundera nel suo romanzo (Kitsch femminista, cattolico, ebraico, musulmano, comunista, democratico, nazionale etc.) sono esempi riscontrabili ancora oggi, basti osservare il Ministro degli interni, anch’egli è stato in grado di creare il suo kitsch. Un kitsch che funziona alla perfezione. Il suo modo di fare politica, più che mai, non si basa su posizioni razionali bensì su idee, immagini, parole, archetipi, e soprattutto, slogan riduttivi al quale i suoi seguaci si appigliano.

Che il termine definisca il brutto, o lo nasconda, il problema risiede nella complicità della lingua e nel valore che le parole hanno; non esiste un linguaggio che vada al di là dell’uomo e del mondo perché esso è il riflesso dell’uomo stesso. Come l’uomo è imperfetto. Spesso non è imparziale ma prende l’una o l’altra posizione. Non è fedele portavoce di un pensiero, bensì delle volte lo tradisce trasformandolo in menzogna.

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