Manifesto di una società conviviale

Per una politica dell’interdipendenza

Un po’ di tempo fa abbiamo pubblicato una riflessione sul mangiare in solitudine, devo ammettere che è una questione che mi ha portata a interrogarmi molto su me stessa: cosa mi porta ad evitarlo?

Tra le altre cose ho realizzato il fatto che per me il momento del pasto è convivialità pura: amo le grandi tavolate con qualche bottiglia di vino e del buon cibo, le trovo lo scenario perfetto per squisite conversazioni, accesi dibatti, fermento culturale ed emotivo.

Durante una conferenza cui ho assistito, un professore ha individuato la convivialità come possibile modello economico alternativo al capitalismo e la cosa mi ha sorpreso. Ripensandoci però, ho realizzato che una tavola apparecchiata ha molti ingredienti di un sistema economico-sociale funzionante: è necessario che le vivande siano divise tra i commensali e che tutti possano accedervi (giustizia distributiva), la scelta del vino viene fatta dai più esperti con la fiducia degli altri (democrazia rappresentativa), la tavola è ricca se ognuno porta qualcosa (partecipazione attiva).

Eppure bisogna chiedersi se siamo pronti ad accettare un modello di vita volto alla convivialità o se stiamo assistendo al suo definitivo inabissamento: il processo di digitalizzazione -che ha investito anche le relazioni sociali- e la pandemia sembrano aver fortemente eroso gli spazi del cum vivium. Che fine hanno fatto i collettivi, le sedi dei partiti, le manifestazioni o ancora- in un senso meno politico- i circoli, i parchi giochi, la piazza come luogo d’incontro, le feste? Persino i dibattiti, per loro natura almeno bilaterali, sono diventati a senso unico: io dico la mia con un tweet tu la tua con un altro tweet, dov’è lo scambio? Dov’è la sintesi comune?

Ci sentiamo soli, mai come negli ultimi anni.

Pare che il sentimento di solitudine e il dolore fisico condividano molti circuiti neuronali.

Stiamo vivendo un processo di disconnessione sociale , chiusi nella nostra bolla e lontani da quella degli altri.

Ci sentiamo esclusi dagli ecosistemi sociali che viviamo: la scuola, l’università, il posto di lavoro, il gruppo di amici e non abbiamo la forza- o gli strumenti- per integrarci ad essi. Sembriamo preoccuparci molto più del nostro spazio che di uno spazio comune (al cinema ti siedi vicino agli altri spettatori o cerchi un posto più isolato?), non siamo disposti ad accettare compromessi.

Insomma, all’appartenenza reciproca, il più delle volte, preferiamo l’indipendenza, e per come la santifichiamo, quest’indipendenza sembra essere il coronamento della realizzazione di un individuo. Ci insegnano che i legami affettivi possono essere un ostacolo al percorso, che “tu devi essere al primo posto”; dobbiamo essere autonomi ed autosufficienti, nella battaglia del più forte dobbiamo prevalere sugli altri. Eppure quanto sarebbe più vero riconoscere la nostra naturale reciprocità, l’interdipendenza che abbiamo con gli altri uomini e con l’ambiente che ci circonda; e quanto sarebbe più proficuo superare il paradigma dell’individualismo per far posto ad un’umana e primitiva interrelazione sociale?

Immaginiamo una società basata sul mutuo soccorso, sulla condivisione di risorse, nella quale si vive lo spazio pubblico (vedi Comunità della cura del Care Collective); immaginiamo una società di co-learning, co-working, co-living; cominciamo a sostituire gli asettici, grigi edifici scolastici e luoghi di lavoro con degli spazi più adatti alla collettività, più confortanti: aule e studi abiti allo scambio di opinioni ed idee, alla crescita di individui sociali; investiamo nel benessere collettivo, nella ri-connessione tra persone, nella fiducia nel prossimo. Me lo immagino così un sistema socio-economico efficiente: un’enorme tavola imbandita e confortevole, con commensali rispettosi e partecipativi, conviviale.

PER APPROFONDIRE:

Sul concetto di convivialità mi sono rifatta a questi estratti del pensiero di Ivan Illich, un sacerdote e filosofo austriaco morto nel 2002:
https://www.nuovopanoramasindacale.it/la-convivialita/
http://www.interculturatorino.it/glossary/convivialita/

Le speranze le ho perse leggendo questo blog dedicato alla vita in condominio, se ti interessano un po’di gossip e screzi tra condomini qui trovi pan per i tuoi denti:
https://www.condominioweb.com/forum/quesito/ma-conviene-veramente-vivere-in-condominio-30029/

Qui qualcuno si è fatto sfuggire la cosa di mano, è un caso di cronaca di dicembre scorso:
https://www.google.com/amp/s/www.ansa.it/amp/sito/notizie/cronaca/2022/12/11/spara-durante-riunione-condominio-tre-donne-uccise-e-4-feriti_57fb7686-d734-455f-8c70-f7c00d87756e.html

Sulla glorificazione dell’indipendenza ti consiglio questa brillante riflessione pubblicata su thevision.com:
https://thevision.com/attualita/mito-indipendenza/

Qualcosa di più scientifico sulle conseguenze della solitudine:
https://www.ipsico.it/news/solitudine-la-sofferenza-della-disconnessione-sociale/

Infine riciclo il consiglio di un’amica che mi ha dato molti spunti di riflessione:
Guarda la puntata del 9/02/2023 di “Caro Marziano” di Pif, nella quale indaga la filosofia danese dello hygge

Una risposta

  1. Articolo molto ben scritto, idea originale, provocatoria, ma arguta e che denota grande sensibilità ed una visione del sistema socio-economico un po’ utopistica, ma condivisibile. Vista la via che ormai da anni è stata intrapresa, questa che Stefania ci propone, mi sembra forse l’unica soluzione possibile. Ho molta fiducia in voi giovani impegnati a pensare con la vostra testa e con il cuore: spero davvero che riuscirete a cambiarlo questo mondo. Io, da parte mia, sarò sempre disposta a sedere ad una tavola imbandita e confortevole!!!

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