Peppino Impastato e il senso dell’antimafia oggi

Il 9 maggio di quarantuno anni fa ci lasciava Peppino Impastato, uno dei primi veri eroi che si scagliarono a volto aperto contro le organizzazioni mafiose. La famiglia di Giuseppe – questo il suo nome all’anagrafe – era ben inserita nelle attività criminali di Cinisi (PA), il suo paese d’origine, ma Peppino, sin da giovane, ha sempre manifestato il suo disprezzo per l’ambiente malavitoso nel quale era forzatamente costretto a vivere. Ha proposto attività culturali di ogni tipo contro la mafia, ha iniziato a fare politica dal basso, dalla prospettiva di una comunità soffocata da Cosa Nostra, candidandosi con Democrazia Proletaria alle elezioni provinciali. Va ricordata la sua esperienza con Radio AUT, un ente radiofonico fondato da lui stesso nel 1977, con il quale denuncia coraggiosamente i crimini e gli affari mafiosi. Non saprà mai gli esiti del voto (verrà comunque simbolicamente eletto al Consiglio comunale di Cinisi): morirà tragicamente nella notte tra l’8 e il 9 maggio, malmenato da mafiosi che dopo averlo condotto sui binari faranno esplodere una carica di tritolo in sua prossimità. In questo modo si distruggeva l’immagine di Peppino, che in un clima di paura per il terrorismo rosso (la notizia della morte stessa passerà in sordina, poiché lo stesso 9 maggio verrà rinvenuto il cadavere di Aldo Moro) venne fatto passare per attentatore suicida, sulla base di una lettera da lui scritta che però effettivamente non lascia pensare che il giovane di Cinisi stesse pensando di ammazzarsi. Questo era il contenuto:

«Purtroppo debbo riconoscere d’aver dato la mia sensibilità in pasto ai cani. Ho cercato con tutte le forze che mi restavano in corpo di riprendere quota, incoraggiato anche dalla fiducia e dall’affetto di alcuni compagni (vecchi e nuovi): non ce l’ho fatta, bisogna prenderne atto. Il mio sistema nervoso è prossimo al collasso e, sinceramente, non vorrei finire i miei giorni in qualche casa di cura. Ho bisogno, tanto bisogno di starmene un po’ solo, riposarmi, curarmi. Spero di riuscirci. Il parto non è stato indolore, ma la decisione è ormai presa. Proclamo pubblicamente il mio fallimento come uomo e come rivoluzionario. Addio, Giuseppe».

Furono tutti complici. La stampa, che aveva di sicuro più interesse a parlare di nuovo attentato da parte di un comunista piuttosto che di un omicidio mafioso in grande stile; i carabinieri, che diedero frettolosamente retta all’ipotesi dell’eclatante suicidio; l’opinione pubblica, che era troppo distratta dalla paura per i comunisti per occuparsi di mafia. Bisognerà aspettare 23 sporchi anni perché i colpevoli, Vito Palazzolo e Gaetano Badalmenti, vengano consegnati alla giustizia.

Di Peppino bisogna apprezzare un’intuizione che oggi come non mai viene sminuita e mistificata: l’antifascismo e l’antimafia hanno molti punti di contatto. L’antifascismo è lotta di liberazione dall’oppressore, che in questo caso va ovviamente identificato con l’organizzazione mafiosa: Peppino, in questo senso, è stato un partigiano, uno dei primi martiri che hanno portato l’intera opinione pubblica a condannare la criminalità organizzata. Nessuno se ne curò: in quel momento storico ognuno era troppo occupato a puntare immediatamente il dito contro le Brigate Rosse e contro i comunisti, indicando indiscriminatamente ognuno di loro come pericoloso sovversivo; e la mafia godeva di questo clima di scarsa attenzione e rilevanza mediatica ad essa riservata. Peppino ci insegna che per lottare la criminalità basta far sentire la propria voce, anche a prezzo della propria vita, per quanto sciocco, imprudente e persino inutile possa sembrare. Vincere la paura di parlare apertamente di mafia, vincere l’omertà costituiscono tuttora grandi obiettivi per la società italiana, soprattutto nei luoghi in cui la malavita è ancora piuttosto radicata.

Chi non la combatte, pur dichiarando di farlo, è chi parla per slogan generici. “La mafia mi fa schifo”, espressione ripetuta come mantra da chi viene accusato di avere legami anche indiretti con clan mafiosi, se non accostata a un vero atteggiamento di denuncia nei confronti delle barbarie effettivamente compiute da quei clan, è una frase svuotata di senso e priva di fondamento, non un grande proposito di buonsenso – altro termine scaduto nella mistificazione, tante sono le volte nelle quali viene ripetuto. Un’interessante indagine di Report rivela come numerosi politici e candidati alle elezioni del Meridione vicini alla Lega abbiano legami diretti con le mafie locali, avendo addirittura ricevuto condanne per attività illecite. Non che gli altri partiti non li abbiano, al Sud la malavita è più radicata nelle istituzioni di quanto si possa immaginare: ciò che va ribadito è che se il partito che continua ad attaccare piuttosto oziosamente la mafia, semplicemente ribadendo la propria purezza, candida persone che hanno legami con essa vuol dire che vi è una pericolosa incoerenza di fondo.

Perché nel frattempo non è la mafia il vero bersaglio della crociata politica della Lega, ma, come al solito, sono gli immigrati. “In percentuale gli stranieri compiono più crimini degli italiani”, che è un dato di fatto, è comunque sminuire il peso delle organizzazioni mafiose. È fingere di non sapere che dietro ad un immigrato delinquente c’è spesso un complesso meccanismo criminale, italiano DOC; è fingere di non sapere che per omertà tante realtà malavitose italiane non vengono denunciate e condannate.

Abbiamo motivo di credere che Peppino Impastato non sarà ricordato dal ministro Salvini, per un credo ideologico che dallo stesso ministro viene acriticamente attaccato. Quello che il Ministro dell’Interno ha fatto lo scorso 25 aprile, recandosi a Corleone per “combattere la mafia” inaugurando un commissariato di polizia e boicottando la Festa della Liberazione, definendola “derby tra fascisti e comunisti” è di fatto allontanare dall’opinione pubblica l’idea che antifascismo e antimafia siano la stessa cosa. Matteo Salvini non ha bisogno del ricordo di eroi comunisti per combattere la mafia. Gli basta la sua figura, celebrata e mitizzata dall’opinione pubblica e da alcuni media, per ergersi a unico uomo capace di sradicare il male dall’Italia. Vogliamo sperare che oltre a slogan generici il ministro abbia la forza di condannare senza alcun filtro le mafie, nello stesso modo e con gli stessi toni con i quali condanna oppositori politici, immigrati, ONG e alcuni magistrati che dell’antimafia fanno il loro credo.

Per commemorare Peppino e il suo importante merito di uomo comune, con le sue debolezze e fragilità, ma dagli ideali più che nobili, voglio riportare questa sua stupenda poesia:

Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il pianto delle donne,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
“è andato in paradiso
a giocare con gli angeli, tornerà presto
e giocherà a lungo con te”.

Fonti:

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