Quaderni dal carcere- Giorno 1

Che cos’è la libertà?

Lunedi 12 luglio 2021 sono entrata per la prima volta in carcere,

è stata l’esperienza più forte della mia vita. Ho visto quel pezzo di mondo scomodo che tutti cercano di schivare, evitare e sopperire.

Le mura alte e bianche che circondano l’istituto penitenziario, protette da un filo spinato, rappresentano una linea di confine tra il fuori e il dentro. Appena superate quelle mura, il peso della demarcazione ti assale. I colori, i rumori, le forme, sono così tanto rigidi che è impossibile non percepire una sensazione di soffocamento.

L’istituto è molto grande. Ogni parte di esso è protetta da una porta a sbarre che non si apre fin quando non è stata chiusa quella da cui sei uscito. I vari padiglioni carcerari, dove i detenuti passano la maggior parte del loro tempo, sono paurosamente lineari e spogli, guarniti solo da finestrelle sbarrate, ognuna delle quali rappresenta il piccolissimo sguardo sul mondo esterno che è concesso a ciascun detenuto.

Faceva molto caldo quel giorno. Camminavo per inerzia. Il mio corpo percepiva la confusione della mia mente. Non sapevo a cosa stessi pensando, quali emozioni stessi percependo, come avrei dovuto comportarmi. Indescrivibili sensazioni mi attraversavano in quel momento, come una tempesta di sabbia in cui è impercettibile distinguere ogni granello che compone il disordine.

Appena arrivati, siamo subito entrati nel padiglione femminile. L’edificio, rispetto all’intero istituto, era il più piccolo. Questo perché la percentuale di donne detenute in Italia rispetto al totale è circa del 5%.
Un numero basso che si conferma da anni, spesso legato ad un contesto di grave marginalità sociale dalla quale provengono. Molte di loro, infatti, sono segnate dalla realtà in cui sono cresciute o dalle brutte situazioni che si sono trovate a vivere per colpa di terzi. Sono donne che hanno compiuto errori, spinte magari dalla necessità di procurare un pasto caldo ai propri figli, oppure perché “era giusto che andasse così”.

Abbiamo avuto il piacere di conoscere alcune di loro. Ognuna veniva da città e quartieri diversi, ognuna aveva un modo di fare completamente suo, c’era chi si esprimeva con molta facilità e chi invece rimaneva più riservata. Ma tutte comunicavano in qualche modo con gli occhi, quali silenzioso specchio di emozioni, paure, speranze.

Ci hanno parlato della loro giornata tipo, delle venti ore in cui restano nelle loro stanze senza poter uscire, dei piccolissimi spazi che devono condividere, e soprattutto di quanto il periodo di pandemia abbia contaminato persino i già rari momenti di ‘serenità’ concessi. “Anche se viviamo qui, lontane da tutto” ha detto C., “abbiamo sofferto anche noi per quello che stava accadendo. Non potevamo fare niente, ci hanno sospeso i colloqui con i familiari, la ricezione dei pacchi, le attività lavorative e ricreative. Persino a pranzo, non potevo uscire per chiacchierare con nessuno, dovevo necessariamente consumare i pasti nella mia stanza. È stato un inferno.”

Un inferno.
Ricordiamo tutti la rabbia che infiammò le carceri nel Marzo 2020.
Il tasso di suicidi salì alle stelle. Nel carcere di Modena sette detenuti devastarono l’infermeria e s’impadronirono dei farmaci. Morirono per overdose. La follia di quei giorni scosse tutto il Paese. Chiusi nelle nostre case, sentimmo tutti la notizia in TV. Le immagini del fuoco, dei cartelloni appesi con su scritto ‘indulto per tutti’, dei loro volti coperti, sembravano minacciare l’ordine pubblico.
Dopodiché, di nuovo silenzio.

Ma dentro, la situazione insostenibile si è protratta per quasi un anno.
P. non ha visto sua nipote per nove mesi. È molto legata alla piccola, dice che è la “cosa più bella che abbia mai visto”. Mentre parlava di lei, i suoi occhi azzurri diventavano sempre più lucidi.
Eravamo insieme quando ha ricevuto una chiamata da sua figlia, che le ha confermato l’incontro con la nipotina per venerdì. Quasi non riusciva a respirare, piangeva e rideva per la felicità, la sua voce tremolante e affannata ha fatto commuovere anche me.

Ci sono dei momenti, nella vita di tutti noi, in cui il tempo si ferma all’improvviso. Si annulla tutto intorno, non percepiamo nient’altro che la bellezza di quel singolo istante. Siamo ipnotizzati da un’immagine che estranea qualsiasi altra percezione. Comunicare quel che si prova in questi momenti è difficile, eppure sono fotografie di attimi che ricorderemo per il resto dei nostri giorni.
Io non dimenticherò mai la felicità trasmessa da P. in quel momento. Con poche parole, è riuscita a farmi comprendere l’importanza di singoli fragili aspetti della nostra vita, come una semplice conversazione con una persona che amiamo. Con poche parole, è riuscita a trasmettermi la forza della sua sensibilità, la sua voglia di provare amore e di urlare al mondo il suo essere ‘Persona’.

Dopo quel giorno, non ho più rivisto P.. Quando ho chiesto il perché non si facesse vedere da allora, mi hanno detto che era finita in quarantena.
Durante quell’incontro non ha resistito a baciare la nipotina, cosa che è assolutamente vietata in questo periodo di pandemia. Era consapevole del fatto che, se si fosse avvicinata, sarebbero stati costretti a chiuderla senza permetterle di uscire, ma lo ha fatto comunque.

Ho sorriso, immaginandomi il bacio.
Ecco a cosa pensava P. quando mi parlava della libertà che le era stata tolta: al diritto di amare senza misura.

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