Referendum Giustizia 2022: Cosa andremo a votare?

Domenica 12 giugno, gli elettori italiani saranno chiamati ai seggi per esprimersi riguardo uno degli elementi cardine del sistema democratico: la Giustizia.
Il referendum popolare è stato indetto il 6 aprile scorso dal Presidente della Repubblica, dopo che la Corte costituzionale ha riconosciuto la validità dei quesiti proposti e sostenuti in particolare da Lega e Partito Radicale.
Si tratta di referendum c.d. abrogativi, il cui esito positivo comporterebbe “l’eliminazione” totale o parziale della legge oggetto in esame. Ciò significa che bisognerà votare “” se si è d’accordo a modificare (abrogare, per l’appunto) tale legge; si voterà “no”, invece, nel caso in cui, al contrario, si voglia mantenere l’assetto corrente.
Inoltre, secondo quanto richiesto dalla nostra Costituzione, per la validità del referendum è necessario che si rechino alle urne circa 51,5 milioni di elettori. 
È proprio quest’ultimo aspetto a preoccupare i più, poiché la complessità dei quesiti ostacola la possibilità di raggiungere il numero richiesto.

L’importanza di esprimere la propria opinione sul tema, pur non essendo stata debitamente valorizzata dai mass media, è centrale: si rischia di mettere a repentaglio le colonne portanti del nostro sistema penale.
Per tale motivo, analizzare e comprendere le basi, le ragioni e le intenzioni dei quesiti referendari servirà ad orientare una scelta più ragionata sulle decisioni che ciascuno di noi assumerà domenica prossima.

Primo quesito: Incandidabilità per i politici condannati
La prima scheda, di colore rosso, riguarda l’eliminazione del c.d. “decreto Severino”.

Grazie a tale decreto, in Italia chi è condannato per alcuni gravi reati non può candidarsi alle elezioni, né assumere cariche pubbliche (si parla infatti di “incandidabilità e illeggibilità”). 
Se, invece, il politico è condannato durante l’incarico, è prevista la c.d. decadenza dalla carica (una sorta di “licenziamento” dal proprio ruolo politico).
Il caso più celebre è quello di Silvio Berlusconi, decaduto dalla carica di Senatore nel 2013 dopo la condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale (per curiosità ulteriori, vedi “Sentenza Mediaset”).

Storicamente, l’intervento normativo scaturì da alcuni studi compiuti a livello europeo in materia di corruzione, che classificavano l’Italia come il terzo paese europeo più corrotto. 
Concussione, ineleggibilità, sospensione, decadenza e incandidabilità sono i temi centrali in cui si concreta la legge, la cui abrogazione potrebbe creare una lacuna (un “vuoto giuridico”) di tutela in ambito anticorruzionale.

Secondo quesito: Limitazioni delle misure cautelari

Per comprendere tale quesito (scheda colore arancione) bisogna prima domandarsi: che cos’è una misura cautelare?
Innumerevoli trattati di diritto penale e decenni di storia giuridica ci insegnano che, come per tutti i concetti di diritto, non è facile individuarne il significato in poche e semplici parole, ma cercherò di essere il più chiara possibile. In breve: il giudice può limitare la libertà dell’accusato in corso di giudizio, ossia prima che sia stata accertata definitivamente la colpevolezza dell’indagato. Esempio classico di misura cautelare è la “custodia cautelare in carcere”, ovvero quando l’indagato è arrestato prima che venga dichiarato colpevole e trattenuto in carcere.

Ovviamente, tali misure cautelari devono essere giustificate da determinate ragioni che ne provino la necessità (è chiaro che non si può incarcerare un indiziato per il solo fatto di aver rubato due mele dal mercato). 

Per questo motivo, il codice penale individua le cause che giustificano il ricorso alle misure cautelari: se c’è il pericolo che l’indagato fugga, che comprometta le prove, o nel caso di “reiterazione di reato”. Proprio sulla validità di quest’ultimo caso l’elettore sarà chiamato ad esprimersi: è giusto che un individuo possa essere sottoposto a misure cautelari per il solo fatto che ci sia il rischio che il reato continui ad essere commesso mentre la persona è sotto indagine? 

I sostenitori del “si” (e che quindi ritengono necessaria l’eliminazione della norma), criticano l’abuso delle custodie cautelari, ad oggi troppo frequenti- la ripetizione del reato è infatti la motivazione più frequente per disporre una custodia cautelare (circa nel 70% dei casi). 
I sostenitori del “no”, invece, affermano che l’abrogazione ridurrebbe la possibilità di applicare misure cautelari in casi in cui è fondamentale agire con urgenza, soprattutto per alcune tipologia di reato, come la truffa o lo stalking.

Terzo quesito: Separazione della carriera dei giudici e dei pubblici ministeri

La terza scheda, di colore giallo, interviene sulla separazione delle cariche tra giudici e pubblici ministeri.

Qual è la differenza tra giudice e pubblico ministero (PM)? Il primo, decide sulla sorte del caso, il secondo, invece, svolge il ruolo dell’accusa nei processi penali (raccoglie prove contro l’indagato e sostiene la condanna di quest’ultimo).

Finora è stata prevista la possibilità di passare, più volte durante la propria carriera, dal ruolo del giudice a quello di PM e viceversa, senza limitazioni.

Col referendum del 12 Giugno si vuole eliminare tale possibilità, cosicché i magistrati dovranno scegliere dall’inizio della carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di PM, non potendo modificare in seguito tale scelta.

Nel nostro ordinamento, vige il principio cardine della terzietà del giudice: le decisioni di quest’ultimo devono essere indipendenti e imparziali, non potendo essere influenzate da nessun fattore esterno.
La separazione dei ruoli dovrebbe (secondo i sostenitori del “si”) rafforzare questo principio, rendendo più solide le posizioni di entrambe le parti.

È criticata dall’opposizione la rilevanza di un eventuale cambiamento di rotta, in quanto creerebbe un sistema artificioso più problematico (a livello organizzativo) che risolutivo.

Quarto quesito: Valutazione dei magistrati

La quarta scheda, grigia, affronta un’ulteriore questione legata alla figura del giudice: in Italia i giudici vengono valutati ogni quattro anni per il loro operato dal CSM (Consiglio Superiore della Magistratura, che “controlla” e amministra il lavoro dei singoli giudici italiani) e dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione (organo centrale che, insieme al CSM coordina il funzionamento del sistema giudiziario).

Queste funzioni sono ricoperte, oltre che da giudici, anche da avvocati e professori universitari di diritto. Questi ultimi però (i c.d. consiglieri “laici”), non hanno il diritto di esprimere il proprio parere nella votazione quadriennale dei giudici.

Con la vittoria del “si” anche avvocati, professori ed altri consiglieri laici potranno votare sull’operato dei magistrati, rendendo così la valutazione dei giudici meno autoreferenziale e più oggettiva.
Anche qui, c’è da chiedersi fin dove tale cambiamento possa assicurare effettivamente un cambiamento di rotta.

Quinto quesito: Elezione dei togati del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)

Oggi, per candidarsi come membro del CSM è necessario presentare almeno 25 firme di altri magistrati a proprio sostegno.
Votando “si” alla scheda verde, non sarà più necessario l’obbligo di presentare 25 firme per la candidatura, essendo sufficiente una semplice domanda.
L’obiettivo dei referendari è arrivare a candidature individuali dei magistrati, senza il supporto di altri colleghi, nel tentativo di limitare il peso delle correnti, dopo la bufera suscitata dallo “scandalo delle nomine” nella primavera del 2019.

Proprio sullo scandalo delle nomine, che ha portato alla luce la corruzione fortemente radicata nel sistema giudiziario, i sostenitori del “no” fondano la loro tesi: c’è da chiedersi se sia sufficiente, oltre che necessario, tale intervento normativo, o bisognerebbe garantire in maniera più consistente ed effettiva l’indipendenza della magistratura.

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