Quante volte vi è capitato di utilizzare un piatto di plastica al posto che uno di ceramica per evitare di lavarlo? O quante volte avete acquistato vestiario a basso costo per poi liberarvene poco tempo dopo?
Informandomi meglio sul mondo dei rifiuti, ho scoperto che dietro queste attitudini quotidiane vi è un intero sistema economico, vi è la politica, la Cina, la salute e persino la criminalità organizzata. Ma andiamo con ordine, faremo il percorso dei nostri rifiuti affrontando in breve ogni passaggio compiuto dai nostri scarti. Poiché l’argomento è incredibilmente vasto, invito i lettori ad approfondire il tema nelle fonti sotto citate o con fonti proprie.
Nell’epoca del consumismo noi tutti tendiamo a dare sempre meno valore a ciò che acquistiamo e poi gettiamo a cuor leggero, forti del fatto che le risorse sembrerebbero apparentemente infinite.
Siamo in realtà il prodotto di un economia lineare,basata sul presupposto che i beni debbano avere una vita limitata che comincia con l’acquisizione delle materie prime, passando poi per la trasformazione di esse in prodotti pronti alla distribuzione; una volta nelle nostre mani avviane il consumo seguito dall’ultimo anello di questo sistema economico: i rifiuti. L’economia lineare del take, make, dispose, si edifica sull’idea che la materia prima sia inesauribile, concetto totalmente sbagliato, sappiamo infatti che le risorse, continuando di questo passo, saranno sempre più limitate.
Facciamo un esempio pratico per immaginare meglio questo processo:Il petrolio è la nostra materia prima, con la quale verrà prodotta una bottiglia di plastica che noi consumatori potremmo acquistare al prezzo di 0.50 centesimi, infine cestineremo la nostra bottiglia, dopo aver consumato il prodotto, nell’indifferenziato,comprarne un’altra ci costerà solo altri 0.50 centesimi. Questo è il processo di una bottiglia d’acqua , ma moltiplichiamo tutto ciò per 60 milioni di abitanti italiani che certamente a fine giornata cestinano molto più che una bottiglia d’acqua: per un totale di 30 milioni di tonnellate di spazzatura annui.
Non sembra più così poco vero? Non lo è neanche per chi deve gestire i rifiuti del nostro paese che fino allo scorso anno si è appoggio, come molti altri paesi, alla Cina. La grande nazione asiatica,infatti, a partire dagli anni Ottanta ha accolto circa la metà dei rifiuti dei paesi industrializzati (plastica e carta prevalentemente) , prima tra tutti gli esportatori: l’Unione Europea nel suo complesso. Negli ultimi anni però, dato il grave problema dell’inquinamento del suo territorio, la Cina ha “chiuso le porte” ai rifiuti esteri, causando non pochi problemi a livello Europeo e mondiale.
Questo non ha fatto altro che incentivare nel nostro Paese, quella che Legambiente cataloga come Ecomafia, ovvero il traffico e lo smaltimento illegale dei rifiuti, gestito dalla criminalità organizzata per un ammontare di circa 10 miliardi di euro in un solo anno. Fenomeno che non sarebbe neanche troppo giovane se si pensa che già nel 1995 Legambiente pubblicò un primo rapporto sulle ecomafie al proposito dei rifiuti speciali.
Come queste Ecomafie hanno gestito i rifiuti al posto di aziende private o organismi pubblici addetti?
Come spiega Enrico Fontana, Responsabile Nazionale Economia civile e membro della segreteria nazionale di Legambiente, Le associazioni criminali, per anni, hanno diretto traffici di rifiuti illegali in Paesi dell’Africa o del Sud America sino a quando negli anni novanta, cresciuta l’attenzione internazionale sui traffici illeciti, hanno cominciato ad interrare questi rifiuti nel nostro stesso Paese. Oltre alle Terre dei fuochi, così sono stati definiti i territori dei rifiuti sversati, le Ecomafie hanno utilizzato, nel corso degli anni, altri meccanismi per lo smaltimento illegale come le famose “Navi a perdere ”, che facevano affondare nelle acque vicine all’Italia con il loro carico di rifiuti tossici intorno agli anni ’80 e ’90, e gli attualissimi incendi ai capannoni pieni di rifiuti, diversi nel 2018.
Facciamo ora qualche passo indietro, torniamo alla nostra bottiglia o al nostro piatto di plastica e immaginiamo di dargli nuova vita, riciclandoli o differenziandoli nel modo opportuno; a questo punto saremmo parte di un altro sistema economico, quello del presente e del futuro: L’economia circolare.
Questa si basa sul principio delle quattro R: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, Recuperare; il prodotto in questo caso viene progettato per dare vita, più volte, alla materia prima, risparmiando in questo modo sulle risorse e sui rifiuti.
Vi chiederete come l’economia e le imprese, in balia del fenomeno del consumismo, possano tratte profitto da questo nuovo sistema, certamente non saranno le grandi multinazionali del potere e dello sfruttamento ad averne giovamento, ma l’economia circolare segnerà la rinascita delle piccole e medie imprese locali, quelle che per intenderci non producono merce a basso costo e breve durata ma merce ben pensata e di buona qualità. Ne gioveranno, come già sta accadendo le menti creative capaci di dare ai nostri rifiuti nuova vita in maniera originale; ne sono esempio diverse aziende del nostro paese, dello stesso paese delle terre dei fuochi che però hanno pensato di utilizzare i rifiuti compatibilmente con la moda, con il design e ovviamente con l’ambiente. Alcuni dei loro nomi sono: Orange Fiber un azienda catanese che utilizza il pastazzo delle arance per farne un tessuto, già utilizzato da Ferragamo per una linea super esclusiva; Wine Leather (pelle di vino) che produce pelle che non uccide animali, non si serve del petrolio ma bensì degli scarti d’uva; e ancora Perpetua una matita prodotta con gli scarti di graffite di grosse aziende.
Gli uomini hanno preso possesso della natura e l’hanno distrutta , ma siamo ancora in tempo per fare qualcosa e basta veramente poco: Curviamo quest’economia, rispettiamo la terra che ci ospita, difendiamola ; facciamo di questo presente un futuro più sano, i primi a giovarne saremo noi stessi.
FONTI: Trash di Piero Martin e Alessandra Viola, intervista a Enrico Fontana di byoblu, www.ansa.it (cina vieterà import), mafieInLiguria.it (ecomafie ed ecoreati).