Salone del Libro, protesta pro Palestina: con chi se po’ parla’?

Ha gli occhi un po’ spauriti ed è teso, Zerocalcare, quando, dall’interno della fiera, raggiunge il piazzale antistante l’ingresso del Salone del Libro. Dall’altra parte della recinzione la tensione è altissima: la polizia e i manifestanti si stanno scontrando, non si capisce bene. Zerocalcare vorrebbe che gli scontri non si inasprissero. Ci sono gli agenti della sicurezza, i poliziotti, la direttrice del Salone, Annalena Benini. Il fumettista romano chiede: “Con chi se po’ parla’?”

Facciamo un passo indietro di circa un’ora.

A Torino fa caldo in questi giorni. Al Salone del libro, dove migliaia di persone affollano la fiera, la temperatura è ancora più alta. Ieri, 11 maggio, si respirava a fatica: si percepiva una spessa cappa di cellofan sopra le teste. Una chiusura (quasi) ermetica che è saltata quando, verso le quattro del pomeriggio circa, un nutrito corteo di manifestanti, composto principalmente da studenti e partito dalla stazione metro di Lingotto, ha provato a raggiungere il Salone.

AL DI LÀ E ALDIQUÀ DEI CANCELLI

Al di là delle recinzioni, le bandiere palestinesi ghermiscono il vento sporadico, i cori e la rabbia parlano chiaro: Free Palestine. Rabbia contro i timidi e assertivi governi occidentali complici di un genocidio, contro le università italiane che stringono accordi con Israele, contro la censura. I manifestanti tentano di forzare le recinzioni ed entrare nel Salone, venendo però respinti dagli agenti in tenuta antisommossa.

Dall’altra parte delle barriere, all’interno della fiera, una ragazza si avvolge nella bandiera palestinese. Per lo più, aldiquà delle recinzioni, ci sono visitatori semplici che danno il loro sostegno ai manifestanti al di là dei tornelli. Una ragazza racconta che un suo amico sarebbe stato fermato all’ingresso perché aveva una bandiera palestinese nello zaino. Un piccolo gruppo di lavoratori della fiera, accorsi in sostegno alla protesta, sventola delle kefiah e degli striscioni con simboli palestinesi.

Gli espositori dicono che quest’anno ci sarebbe stata una vera e propria censura. Che la direzione avrebbe osteggiato l’esposizione di simboli pro-Palestina (alcuni parlano di un divieto più o meno esplicito, tuttavia non confermato dai più, neppure dai dipendenti delle case editrici che si sono ritirate dall’esposizione in segno di protesta). Si parla di silenziamento di ogni potenziale voce di dissenso. Uno di loro parla di “assopimento collettivo”.

Ma quindi, dicevamo. Con chi se pò parla’?

Lo scrittore Christian Raimo, accorso per dare il suo supporto alla causa, i lavoratori della fiera, e Zerocalcare propongono un’assemblea. In pochi, meno di dieci, cinque forse, si spostano al di là dei cancelli.

“Uno spazio che parla di cultura e attualità non puo’ chiudere gli occhi e lasciare fuori la storia”, afferma Zerocalcare.

Un addetto alla sicurezza commenta con il suo collega: “A che serve venire a protestare qui al Salone del Libro?” Si deve andare nei posti che contano, dice, dove si prendono le decisioni. Ma l’unica presenza istituzionale, l’unica rappresentanza di quelli che contano e che decidono, sono gli agenti di polizia, come afferma Christian Raimo poco dopo, quando una delegazione di pochi manifestanti, al seguito di Zerocalcare, viene ammesso all’ingresso della fiera. Oltre i cancelli. Tra loro c’è Brahim Baya, segretario generale di PSM (partecipazione e spiritualità musulmana), tra i portavoce della protesta.

L’immagine del Salone, del mondo della cultura e dell’informazione più in generale, di quelli che contano e che decidono, è lontana chilometri di cancelli e recinzioni dalla realtà. C’è un filo d’acciaio che isola in una patina di rispettabilità l’universo mediatico e istituzionale. Che lo chiude col cellofan su sé stesso, mentre al di fuori la Storia vera racconta altro. Un filo di non detto, di notizie non date o date col setaccio, senza soggetti, di indifferenza e astensioni. E mentre Zerocalcare (meno male) si fa volto e voce di chi dissente, ci dice di essere sollevato dall’esito, tutto sommato tranquillo della manifestazione, ci sarebbe da interrogarsi sull’assenza d’interlocutori: alla fine, dunque, con chi se po’ parlá?

Beati i popoli (e le epoche, aggiungerei), che non hanno bisogno di eroi- Bertolt Brecht.

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