Che io abbia fatto spesso a spintoni con il mio esuberante modo di essere è oramai risaputo.
Mi sono lasciato spesso, da solo. Mi sono voltato le spalle, come fossi troppo indietro anche per fare i conti con me stesso. Come fossi un buono a nulla a proseguire in questa vita.
Mi sono abbandonato nelle colazioni amare, le uniche in cui mi sono riuscito a ritrovare. E ho fatto spesso luce sul fatto che non sappia mai dove andare, e che dalle mie emozioni io non ho mai avuto modo di imparare.
Mi sono perso, in tutti questi anni, nel cercare di capire la sorgente di questi dolori mai irrorati. Di queste sensazioni che mi lacerano il petto, e mi tirano un gancio destro. La sensazione di nausea, della quale forse, ho poco parlato, la stessa che ho trascurato, la medesima che mi ha trascinato nel limbo del panico più puro, limpido, concreto. Quella stessa sensazione che mi ha fatto penare, che mi ha fatto condannare, quella stessa sensazione che per anni mi ha fatto credere di dovermi continuamente rifiutare.
Ho parlato spesso di donne, di queste donne che rivestono i miei amori mancati, come fossero abiti firmati. Quelle stesse donne che mi hanno fatto dannare, chi per un bacio, chi anche solo per una singola attenzione. Ho parlato di loro dimenticandomi di me. Ma in amore, io, l’ho già detto, non riconosco nessuno se non l’altro.
Mi sono spesso coperto le spalle, alle volte con giacche tante altre con giubbotti piumati, quando poi fuori non era mica inverno. Mi sono chiuso nella speranza di potermi preservare, nella speranza di poter smettere di provare. Mi sono chiuso nella mia fragilità, dove ho legato i sogni a doppio nodo nei miei castelli di sabbia. Alla resa dei conti, però, sono sempre tutti crollati.
Ho parlato di seni scoperti, di camicie sbottonate, di lembi di lenzuola consumate, come fossi mai stato bravo a fare l’amore, come mi fosse mai appartenuto veramente fare l’amore.
Ho lacerato i miei tendini in tutti questi anni per le corse infinite per raggiungere gli altri. Per potermi fare notare. Quelle stesse corse verso mete indefinite. Quelle stesse corse da cui ho conservato solo l’affanno. Senza, poi, mai giungere ad un vero e proprio traguardo.
Ho sempre dato voce ai miei pensieri in questi anni, alle forme d’amore che non conosco, alle altre che non mi sono mai voluto concedere, alle tante forme da cui non mi sono lasciato possedere.
Perché, io, sono solo un uomo misero che dopo anni ha finalmente capito di quanto cazzo gli faccia paura l’idea di poter amare.