Soffrire vuol dire essere vivi

Quante volte la paura di qualcosa ci blocca in una sorta di limbo? Ci ripetiamo tra noi che è meglio soffrire per qualcosa che non succede, qualcosa che potrebbe succedere, ma che necessita di una spinta per concretizzarsi, che però ci fa altrettanta paura e quindi preferiamo rimanere fermi. Bisognerebbe inventarla la paura di rimanere fermi, e probabilmente già esiste, forse mascherata, nascosta dietro la paura di muoversi. Dopo tutto meglio rimanere dove si sta, evitare turbamenti, distrazioni, passeggiate solitarie che mietono mozziconi di sigarette, notti insonni a guardare la luna e mattinate sonnolenti tra tazze sporche di caffè. Ma non è proprio questo vivere? Partire per un posto sconosciuto senza nessun aiuto, con la paura di perdersi per le strade, con quel barlume di speranza che ci fa andare avanti, un po’ come quando spremiamo il tubetto rinsecchito del dentifricio, un pochino ne rimane sempre in fondo, almeno quanto basta per non avere l’alito di fogna.

Non possiamo eliminare la paura di soffrire perché vorrebbe dire smettere di vivere, come non possiamo cancellare l’atto in sé di soffrire e tutto quello che comporta, dalle lacrime che fanno a gara su un viso stanco fino al senso di nausea che ci fa anche il boccone più saporito. Chi vi scrive parla per esperienza personale, non per amore della filosofia (che ammiro, ma fatico a capire), rimanere fermi per non soffrire è la peggior forma di sofferenza, e visto che l’essere umano per natura scappa da ciò che lo fa stare male, dovremmo tutti darci una mossa.  Penso che la sofferenza, come l’amore e tante altre cose, abbia varie sfumature, non può essere nera o bianca, distruttiva o lieve, ma assume varie colorazioni a seconda della persona, della causa che porta a soffrire e soprattutto del tempo. Spesso diamo per scontato il potere curativo dello scorrere dei giorni, delle settimane e dei mesi, in particolare i giovani non hanno fiducia nel tempo come cura o almeno come antidolorifico, forse perché siamo al mondo da pochi anni, non sappiamo ancora usare questo valido strumento e siamo terrorizzati dal suo spreco e dal suo scorrere, inconsapevoli che quel che siamo adesso non lo siamo stati 6 mesi fa e non lo saremo certamente tra altri 6 mesi. Ci sono sofferenze dalle quali è impossibile guarire perché sono ferite così gravi che anche se diventate vecchie cicatrici, rimarranno come tatuaggi sulla pelle a ricordarci chi siamo stati, quello che abbiamo vissuto e da cosa non si possiamo scappare. Possiamo scappare da una città, da una persona, dai doveri e dalle fatiche, ma non potremo mai scappare da noi stessi e dal nostro passato, l’importante però è che la paura di soffrire non interferisca con il presente e non limiti il nostro futuro, ma ci faccia da bussola e da faro per non compiere più gli stessi errori.

Attenzione però! Non compiere più gli stessi sbagli non vuol dire non compierne dei nuovi, guai a non sbagliare più e a non soffrire più, perché vorrebbe dire aver smesso di vivere una vita vera. È inutile cercare rifugio nella serenità illusoria dell’immobilismo, sfuggire dagli altri nella solitudine tranquilla di una camera, quella stessa solitudine che tanto sollievo ci regala ad un certo punto ci toglierà il respiro più di un’asfissiante compagnia.

Ho sempre creduto nel destino, ma non nel farsi travolgere dal flusso della vita e penso convintamente che se non contenti del posto dove essa ci colloca allora dobbiamo fare di tutto per andare dove vogliamo o almeno di provarci, anche al costo di soffrire, ma almeno potremo dire di sentirci veramente e finalmente vivi.

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