Ti ho trovato e attraverso te ho trovato me stesso

Great Freedom, l’amore che dona la libertà

“Senza di te non ci sarebbe stato un noi. Mi hai trovato e attraverso te ho trovato me stesso.”

Große Freiheit, di Sebastian Meise, è un film ambientato tra il periodo della Germania postbellica e il 1969.
Inquadra in primo piano la storia di un omosessuale appena uscito dai campi di concentramento -internato a causa del suo orientamento sessuale -e condannato presto a due anni di reclusione con l’accusa di devianza sessuale: da qui prende le mosse la narrazione cinematografica della lunga permanenza in prigione di Hans Hoffman, ruolo interpretato da Franz Rogoswki.

La sua è una condanna che si protrae molto più a lungo del dovuto perché sia dentro sia fuori il carcere, Hans non rinuncia all’amore, sentimento che l’uomo assurge a principio essenziale della propria dolorosa esistenza, ma che gli costa la condanna prevista dall’articolo 175 del codice penale tedesco rimasto in vigore dal 1871 al 1994 e che considerava un crimine i rapporti di tipo omosessuale tra uomini.

Tra l’altro la Germania Ovest mantenne la norma nazista -notevolmente ampliata rispetto all’originale- fino al 1969, anno in cui fu limitata a casi qualificati. Fu abrogata solo nel 1994 con l’unificazione tedesca.

Hans ritorna in carcere e col passare degli anni tesse storie d’amore tutte importanti, ma alcune sembrano essere come segnate, predestinate, legate e concatenate sin dagli esordi.

Predestinata è quella col compagno di cella Viktor, un uomo rude, condannato per aver sparato a un ragazzo; si tratta di una colpa che sta espiando da più di vent’anni ma che svela ad Hans solo alla fine del film, dopo aver costruito con lui un rapporto completamente diverso da quello che ci si poteva immaginare all’inizio.

Dai segni tangibili di omofobia -che si manifestano nella furia, nel distacco e persino nella vergogna di farsi vedere vicino a lui- a poco a poco Victor tira fuori una straordinaria cura nei confronti di Hans.

In particolare, il climax di questo rapporto mutevole, a tratti contraddittorio, si legge nell’abbraccio disperato e consolatorio in cui Viktor avvolge Hans quando Oskar, il suo più grande amore, si toglie la vita gettandosi dal tetto della prigione.

È in questo attimo che Viktor si spoglia di tutti i preconcetti e i pregiudizi: stringe Hans di fronte a tutti, perché urlino insieme contro la disperazione della morte e la rabbia per un amore soffocato, perché in quell’abbraccio forte eppure fragile allo stesso tempo si realizzano il coraggio e la ribellione contro un ordine più forte e illegittimo.

Dopo nuovi ingressi e uscite dalla prigione, i due si ritroveranno finalmente uniti, in un’accettazione non totale, ma comunque singolare ed emozionante.

Quando poi Hans potrà finalmente godere della propria libertà grazie all’attenuazione della legge 175, quell’amore lo richiamerà comunque da Viktor.

L’inquadratura finale, infatti, riprende Hans mentre simula una rapina ed aspetta, tra il fumo di una sigaretta e il sottofondo dell’allarme, che qualcuno lo riporti in carcere: il luogo amaro della sua sofferenza, eppure quello in cui, soffrendo, aveva più amato.

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