Tra filosofia ed attualità

“…Una guerra con un nemico invisibile che può annidarsi in ciascun altro uomo è la più assurda delle guerre. È, in verità, una guerra civile. Il nemico non è fuori, è dentro di noi.”
Le prese di posizione sulla pandemia del filosofo giuridico Giorgio Agamben, ora raccolte nel volume “A che punto siamo”, hanno suscitato stupore e irritazione anche tra i più autorevoli giuristi e filosofi dei nostri giorni. Gli si rimprovera, e non velatamente, l’adesione alla tesi della ‘dittatura sanitaria’. Effettivamente, Agamben critica le modalità con cui ci si è approcciati allo stato d’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro paese in quest’ultimo anno.
“L’ondata di panico che ha paralizzato il paese mostra con evidenza che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita”, avrebbe addirittura affermato in un suo articolo pubblicato su QuodLibet il 17 Marzo 2020 (https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-chiarimenti).

Tali considerazioni, però, vanno a mio parere contestualizzate al più ampio pensiero del filosofo italiano che presuppone una ben precisa interpretazione del concetto di “stato d’eccezione[1]: secondo Agamben, una delle caratteristiche principali dello stato di eccezione è la sua capacità di essere fuori e tuttavia appartenere all’ordine giuridico. Lo stato d’eccezione rappresenta, in questo senso, un lecito ‘spazio di vuoto’ – o meglio di anomia[2] – nell’ordinamento; un “buco nero” nell’universo giuridico, che attrae a sé ogni cosa rivoluzionando il precedente assetto istituzionale. Tuttavia, lo stato di eccezione può diventare – in qualche modo – la normalità. Le trasformazioni che le democrazie contemporanee hanno attraversato negli ultimi decenni -incluso ad esempio il sempre maggiore ricorso alla decretazione d’urgenza accompagnato da un profondo ridimensionamento del ruolo delle assemblee elettive- hanno finito per rendere permanenti alcuni meccanismi nati e pensati per essere invece temporanei ed eccezionali.
Sotto quest’ottica, dunque, la forza delle parole di Agamben assume una rilevanza completamente diversa. L’epidemia protratta in un tempo così amplio, fa apparire con chiarezza il rischio che la condizione di stato di eccezione possa contaminare la nostra quotidianità e divenire, per l’appunto, normalità. E, come ben osserva lui stesso sempre nell’articolo sopracitato, una società che vive in un perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Alcuni dei principi fondamentali del vivere comune sono stati soppiantati dal pericolo soccombente, tanto da modificare anche il nostro vocabolario giuridico.
Ad oggi la paura, diffusasi più velocemente del virus stesso, rischia di ostacolare la nostra condizione di vita politicamente attiva. L’uomo necessita di vedersi riconosciuta l’importanza della propria dimensione biopolitica e non deve dimenticarsi che oltre alla realtà naturale egli ospita una realtà civile, di cui è protagonista.
Le parole di Agamben, per quanto forti e a tratti anche ambigue, sono spunto di riflessione. È necessario individuare una vera e propria “unità di misura” che ponga in essere i limiti e controlimiti al controverso tema dello stato d’eccezione, al fine di non ledere l’equilibrio che quest’ultimo crea con una più naturale propensione dell’essere umano a realizzare la sua dimensione sociale.


[1]Stato d’eccezione- indica una particolare situazione in cui circostanze straordinarie (come guerre, pandemie, disastri naturali) impongono di sospendere il rispetto delle leggi ordinarie e l’imposizioni di misure speciali per il superamento della situazione stessa. 

[2]Anomia- dal greco “a- nomos”, ossia assenza di legge. Descrive una situazione di totale disorientamento sociale e giuridico caratterizzato dall’assenza di norme.

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