“Reggetevi ai sostegni”. Il treno sferraglia. “Reggetevi ai sostegni”. Ripete la voce metallica, sempre uguale, che riecheggia nel vagone della metropolitana di Milano.
Milano: una città accogliente, sfavillante, convulsa. Milano che sfreccia, rapida, sulle tracce di un progresso che sembra inarrestabile. Un concentrato di luci, sapori, idiomi, che si mescolano senza toccarsi mai fino in fondo. Una velocità inaspettata, che può far male alle volte. E allora reggetevi, reggiamoci ai sostegni.
Ma cos’è che ci sostiene, di fronte alle contraddizioni di cui siamo testimoni tutti i giorni? Cos’è che ci dà la forza di guardare in faccia la realtà, la vita che ci siamo scelti, per quella che veramente è?
Sono in metro; un uomo seduto su uno skateboard si sposta faticosamente, contrastando il movimento contrario del treno. È senza una gamba. Eppure è il più coraggioso in mezzo alla gente del vagone: ha ancora la forza, con la sua ostinata lentezza, di opporsi al ritmo spedito a cui questo mondo ci costringe tutti. È una lentezza fuori luogo, la sua, come fuori luogo appare tutta la sua persona rispetto agli altri passeggeri, che scelgono, per quotidiana sopravvivenza, di ignorarlo.
Tuttavia, l’uomo continua a scalare la sua montagna, imperterrito. È sorprendente pensare che a ciascuno tocchi una sfida diversa nel corso della vita, differente da quella di chiunque altro. Miliardi di persone al mondo, miliardi di sfide, nessuna identica a quella di qualcun altro e nessuna simile a quelle che abbiamo già affrontato.
Il compito di quest’uomo che mendica nella metro di Milano è questo: farsi notare. Creare un buco, o almeno una crepa, in quella corazza di certezze che ognuno si forgia. Sempre per quotidiana sopravvivenza, s’intende. Sarebbe troppo ammettere che lo facciamo consapevolmente, perché non vogliamo conoscere altro che non sia il rassicurante circolo di facce note e usuali impegni, di cui non smettiamo di circondarci.
Ma allora quest’uomo che si aggrappa senza vergogna ai sostegni della metro che cosa vuole da noi? Cosa ci sta dicendo?
Ci sta dicendo: “Guardami, esisto!”; ci sta ricordando che la vita non si misura in successi professionali, conti correnti e cabine armadio. Che siamo fortunati a poter scegliere ogni giorno di condurre l’esistenza che vogliamo. Siamo fortunati.
Ci sono dei criteri per poter considerare la presenza di un estraneo nel nostro campo visivo più o meno sopportabile? E se esistono questi parametri, quali sono?
Perché non reputiamo grave permettere che un uomo senza una gamba strisci, completamente a suo agio, tra quelle altrui? Perché non ci interessiamo tanto quanto lo faremmo per lo stesso uomo in giacca e cravatta?
“Reggetevi ai sostegni”. Ancora una fermata, prima di scendere. Ancora un’ultima opportunità per lasciarsi scalfire, per dare una possibilità all’uomo sullo skateboard di parlare e gridare la sua verità. Una verità scomoda, che non si sprigiona dalla voce, ma zampilla dagli occhi. Chissà com’è il suo sguardo, mentre combatte, solo, il flusso escludente di questa città tanto agognata, Milano.
Cosa traspare dai suoi occhi indagatori, che creano tanto sgomento nei passanti? Quale enigma nascondono?
Non lo so, non ho avuto il coraggio di guardarlo.