Censura e libertà d’espressione: il caso Fedez

Il “caso Fedez”, che ha fatto tanto discutere i media negli ultimi giorni, ha posto l’attenzione dell’opinione pubblica sul rapporto tra la censura e il sistema della radiotelevisione. Ma cosa s’intende giuridicamente per “censura”? A differenza della concezione comune, la censura è un controllo preventivo esercitato esclusivamente da un’autorità pubblica sulla stampa e sui prodotti di altri mezzi di comunicazione, al fine di proibirne la pubblicazione o la rappresentazione. Ciò significa che nel caso di specie, ossia tra privati, non si può parlare di vera e propria censura, bensì di rispetto dei limiti e bilanciamento degli interessi. 

La censura è sempre vietata dall’articolo 21 della Costituzione a tutela della “libertà d’espressione” ma, come tutte le libertà, anche quest’ultima è soggetta ai limiti dettati dalla Costituzione stessa e dalle leggi. Essi dipendono dal contesto in cui si opera e, tra due persone, riguardano in particolare l’onore, la reputazione degli interessati e la divulgazione di dati personali. 

Se si tratta di un’impresa editoriale, il problema è quello di bilanciare la libertà di pensiero del singolo con il diritto dell’impresa di pianificare il proprio lavoro sulla base di una cosiddetta “linea editoriale”, che consiste in un’opera di impostazione degli argomenti e dei temi da proporre al pubblico. A questo proposito, la società organizzatrice del Concertone del primo maggio, iCompany, aveva il diritto di specificare l’obiettivo dell’evento agli artisti che ne avrebbero preso parte, ma resta comunque libera la scelta che l’artista fa sul palco sotto la propria responsabilità. Trattandosi di rientrare in un determinato contesto, risulta quindi molto difficile trovare un equilibrio.

Fermo restando il discorso dei limiti, di certo non si potrebbe rimproverare a Fedez, com’è stato fatto nella telefonata da lui registrata e pubblicata sui social, il fatto di aver riportato nel proprio discorso le dichiarazioni di determinati esponenti politici citandone i nomi e i partiti d’appartenenza, in quanto non lesivo dell’onore di alcuno di essi. Piuttosto, in questo caso sarebbe giuridicamente contestabile (e penalmente punibile) la scelta di pubblicare una conversazione riservata senza il consenso degli interlocutori. Rivendicare il diritto di esprimersi liberamente non giustifica, infatti, la violazione dell’articolo 615 bis del codice penale.

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