Di Iside Rollo e Lorenzo Caricato
-Quindi? Che vogliamo fare? Continuare a stringere una cinghia che vediamo solo noi?
-Non credo si tratti di questo.
È che noi non funzioniamo, è inutile.
Sei un disastro. Sono un disastro.
Ci appartiene il senso delle cose, ma non delle persone a quanto pare.
-È che siamo maniacali nel teorico, ma nel pratico ci siamo sempre persi.Abbiamo sempre saputo di non funzionare ma è sempre stato più facile relegare il problema ai noi del domani.
-O forse è che siamo due codardi, non ci siamo mai saputi prendere, figurati provare ad appartenersi.
-Io ci ho provato, a prenderti e a farmiti appartenere. Tu non sei mai stata chiara.
–Lo sapevi. Io ti avevo avvertito che non ci sapevo fare, che non so dove si vada a parare in queste cose, che i miei ingranaggi non funzionano da un pezzo e che forse non hanno mai funzionato. Eppure ti sei ostinato.
Ti sei ostinato a dirmi che era impossibile, che una come me era facile da amare e mi dicevi che ero bella, bella per davvero, che sapevo di amore, che ne ero la sua reincarnazione.
E sapevi altrettanto di quanto ne avessi bisogno, di qualcuno che mi salvasse, di quanto avessi bisogno di sentire carezze che non fossero le mie, di parole di conforto che avessero altro timbro; sapevi quanto avessi bisogno di quegli abbracci che ripudiavo dal resto del mondo, ma che da te tanto elemosinavo.
Ma io ti avevo avvertito che non so farmi spazio -neanche a spintoni- in queste cose.
-Vorrei potermi permettere il lusso di poter ritrattare solo una delle cose che ti ho detto, vorrei poterti dire che tutte quelle parole erano solo parole, che per una volta anche io ho deciso di mistificare, che anch’io so essere subdolo.
Vorrei farlo ma non posso. Sai che sono di un onesto cinico, vecchio stampo: se ti odiassi ora te lo direi con brutalità, o per lo meno con la stessa verità che ho messo dentro al calderone delle mie emozioni ogni volta che ho avuto la possibilità di raccontarti quanto ti amassi.
Forse la verità è che quello che non ci sa fare fra noi due sono io, ho illuso entrambi di sapere dove stessimo andando, ma non ho mai avuto il coraggio di chiedermi dove stessi andando io.
–La verità è che sei esattamente come tutti gli altri. Vai alle feste, e poi fai una storia e ti fai anche qualche shottino; poi non fai le storie al resto del mondo perché devi sembrare alternativo, però fai storie con i tuoi amici per una sigaretta e metti frasi di canzoni strozzate in radio. Poi cerchi di farti notare, stai sempre in piedi, anche quando sono tutti seduti. E poi hai le movenze tue solite per attirare l’attenzione e saluti tutti allo stesso modo, nessuna distinzione tra chi ti fa bene e chi invece è di sola estrema compagnia; stesso saluto, stessa intensità, stesso bacio stampato sul volto. E poi vai a casa lieto e fiero di aver, anche oggi, mostrato al mondo chi non sei.
-E tu invece cosa fai? Ti vendi come se fossi qualcosa di elitario, ti costruisci quest’aura da bella e impossibile; sigaretta in mano scruti tutti ma non guardi mai nessuno, credi che farmi notare da te sia stato semplice?
Giudichi, giudichi e giudichi, ma allo specchio non ti guardi mai.
-Come se fosse semplice, guardare tutti dall’alto, ostinarsi nel farlo. Ma sai quanto coraggio ci vuole a plasmarsi in questo mondo?
Hai idea di quante volte il resto del mondo mi ricorda che sono sola e che forse funziono meglio da sola?
E allora lascio perdere, già in partenza, perché mi sento una stupida a ricominciare, a darmi nuove possibilità, a ributtarmi nella mischia e così che rimango in alto, sul tetto del mondo, dove sono intoccabile ma anche irraggiungibile
-È questo il tuo maledetto problema, non rischi mai, pensi sempre a tutto e ci pensi troppo, ma pensi solo a te stessa. Non capisci che oltre te c’è qualcun altro.
Lo sai che ricominciare è stato difficile anche per me però, cazzo, ho sempre avuto fiducia nel fatto che nel doverci aggiustare a vicenda avremmo trovato qualcosa di più.
–Ci stiamo ostinando a trovare un capro espiatorio, come in tutte le cose, come abbiamo sempre fatto. Te l’ho detto, siamo due codardi.
-Tu dici codardi? Secondo me siamo stati spudoratamente coraggiosi.
Abbiamo provato. Prima di questo ‘noi’ io non ho mai azzardato così tanto.
Solo che non abbiamo funzionato e ancora non capisco il perché.
–Perché non sappiamo gestirci, e non intendo a vicenda, intendo da soli. Non sappiamo riconoscerci..
tu non sai chi sei e io non so chi sono.
Siamo tremendamente bravi a non farci prendere.
-Odio doverti dare ragione, probabilmente ad ora sappiamo più chi è l’altro rispetto a quanto sappiamo chi siamo noi stessi.
–È che facciamo tanto i forti, specie con l’amore degli altri e poi siamo due molliche di pane.
Porca puttana.
-Ti ricordi il compleanno di Alessia? Da quanto ci frequentavamo? Un mese?
Ero passato da poco al tabacco, solo perché mi avevi detto che le industriali erano da stronzo borghese.
Non ero minimamente capace di girarle, ero lì tutto spazientito. Venivi tu, mi sfottevi un po’, sorridevi in quel modo che mi fa impazzire e alla fine la giravi tu.
–Certo che mi ricordo. E ricordo anche che hai preso un certo vizio a farti girare le sigarette da me. O forse pensandoci bene era semplicemente diventata la tua alibi per tenermi vicina.
-Mi sono sempre divertito a cercarti un po’ dovunque, era un modo goffo per farmi sentire amato e tu mi hai sempre assecondato.
–Ti ho assecondato perché mi è sempre piaciuto piacerti, essere osservata, avere il tuo sguardo timido ma sincero tutto per me. Lo sento ancora addosso.
-Non sappiamo nemmeno noi cosa vogliamo dall’altro: ciò che ci lega è lo stesso male che ci consuma. Non possiamo combatterlo.
–Ma io non credo di avere più la forza di star male.
-È una forza che abbiamo perso entrambi. Credo sia il momento di andare.
–Posso girarti un’ultima sigaretta?