Essere squalo

Il 23 giugno 2015 usciva ‘’Vero’’, il terzo album in studio di Guè Pequeno.

Sei anni fa la critica era molto divisa riguardo non solo alla consistenza, quanto alla qualità dell’allora ultimo dei progetti del G Matador nazionale.

Sarà che l’autotune era ancora da sdoganare, sarà che il cantato di un rapper – vedasi il ritornello della titletrack, “Vero” – faceva storcere il naso, sarà che i primi assaggi di basi trap spaventavano da morire i più fedeli tra i puristi, ma a primo impatto il disco fu letteralmente affossato dalla fanbase del Guercio.

Ad oggi, consequenzialmente ad un radicale cambiamento dei gusti del fruitore medio dell’hip hop, oltre che ad una netta diversificazione del genere stesso, restano pochissimi dubbi su quello che per molti è l’album manifesto dell’arte di Cosimo Fini.

Il disco è decisamente vario, sono presenti bangers generazionali come “Le bimbe piangono” e “Squalo”, inni di quella sofisticata ignoranza che è uno dei più evidenti tratti somatici del rapper milanese.

Nel ritornello di “Squalo”, ed in generale in tutto il pezzo, si riesce a riassumere l’attitudine del disco intero –“Per pagare questi affitti devi essere squalo, […], Per uscire dai conflitti devi essere squalo” -, il non poter restare vittima dei contesti e la necessità di diventare predatore pur di non essere la prima preda ad essere sacrificata.

Il disco continua con un feat. con Akon, “Interstellar”, soft-hit che conquistò tutte le emittenti radiofoniche del 2016, e sulla falsa riga di quest’ultimo, con “Oro e diamanti” dove Guè, soprattutto nell’ultima strofa, si interroga sul se e sul come i beni materiali, che una carriera come la sua possono garantire, possano cancellare il suo dolore – “Non cancelleranno i miei pianti, tutto quest’oro e diamanti”.

Se nella prima strofa racconta dell’incontro con una ragazza, è la seconda che assume un risvolto esistenziale

“Potrò mai essere un buon padre
Se non sono stato mai un buon figlio?
La notte da consiglio ma io resto sempre sveglio

Ci sentivamo quasi dei 
Volevi conquistare il mondo su un paio di Casadei”

Nelle parole di Guè si legge una forte severità nei confronti degli errori commessi, quanto una grande paura nel non sapere come poterli risolvere, temendo anche le conseguenze degli stessi con cui prima o poi dovrà interfacciarsi.

Guè sembra ritornare sui primi due versi della seconda strofa-e probabilmente anche sulla ragazza di cui si parla nella prima- in una delle bonus track della Royale Edition, “Eravamo Re”.

Nel brano Guè affronta la deriva che sta prendendo la sua vita aggrappandosi alle persone che lo avevano più fatto sentire valorizzato, ma da cui, per ragioni diverse, se n’era dovuto allontanare: il padre e la sua ex.

Nella prima strofa affronta il rapporto col padre, dove in particolare risulta efficace e toccante

“Resto in mezzo a questa merda
La fama, donne e soldi, vivo per metà
Senza potere ritrovare il mio papà
Senti il mio cuore che batte se restiamo zitti
E va troppo forte, non segui i miei ritmi
So che combatti e nonostante i fatti
Non siamo perfetti e non riesco ad odiarti”

La seconda strofa invece è un riflettere sulle vicissitudini condivise con la propria ex, i versi sono carichi di rabbia e malinconia, spezzate sul finale da una sorta di resa 

“Ora che urlo e nessuno mi sente

Ora che vorrei essere un bambino per sempre

Vivere senza nessuno, e nulla, non ci si riesce

Chi ce la fa non ha paura di niente”

La Royale edition porta in saccoccia diverse tracce interessanti, come “Fiumi di Champagne”, con Peppino di Capri, ma soprattutto “Voodoo” ed “Equilibrio”

“Equilibrio” racconta di un amore adolescenziale – “Ti ricordi all’intervallo, ogni bacio lungo un anno” -, magico ed illusorio – “Avevamo una promessa, che io non ti avrei mai persa” –, sfortunatamente condizionato dalla fame e la voglia di emergere del protagonista, che si rende conto di aver perso la persona che amava per concentrare le sue energie sulla musica – “[…], mi son perso nei miei versi”.

Guè si rende conto quindi di avere un disperato bisogno di equilibrio, di normalità, tanto dal voler essere un “albero secolare”.

Altrettanta potenza lirica è espressa in “Voodoo”, dove il rapper racconta di come si senta ipnotizzato, controllato, dalla ragazza con cui si frequenta.

Lapidario è il riferimento alla Sindrome di Stoccolma, disturbo non riconosciuto ufficialmente, secondo cui chi subisce violenze, fisiche o psicologiche che siano, non riesce a non provare una forte attrazione nei confronti dell’aggressore – “Finisce che ami chi ti vuole uccidere”.

È un racconto di vizi, manipolazione, ossessione e perdita di controllo.

Guè si sente completamente succube di questa persona ma non riesce a reagire, anzi inizia ad assumere reazioni nervose

“Ribaltare il locale, urlare davanti a tutti e poi la questura 
Bugiarda, se mi scrivi all’alba che ci faccio sveglio, di non farlo più

È perché quello che faccio forse lo stavi facendo anche tu.”

In definitiva, la lungimiranza di Guè Pequeno nel saper anticipare i tempi senza dover rinunciare alla sua attitudine e al suo status di colonna portante del rap italiano è intrinseca in questo progetto, che può tranquillamente essere definito come una sorta di spartiacque, non solo per la carriera del rapper, ma in generale per tutta la scena italiana.

“Vero” ha rappresentato la possibilità di poter combinare qualità e commerciabilità di un progetto, ponendo sullo stesso piatto della bilancia le due controparti, restando Vero nella misura in cui un’artista si senta libero di poter approcciarsi alla musica come desidera, evitando di tendere le orecchie a questa o quella fazione della fanbase, e lasciando al tempo la determinazione del valore del progetto stesso.

Che nel caso di G.U.E e di vero, si è rivelato più che galantuomo.

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