La doppia laurea

“nuova scuola” cap. 1

Quando arriva il momento di spiccare il volo e abbandonare le fatiscenti aule delle nostre scuole superiori per appollaiarsi su quelle un po’ meno fatiscenti delle aule universitarie, la maggior parte di noi prova un senso di frenesia, entusiasmo e anche timore per via del cambiamento così significativo. Da anni ci parlano di quel momento: le possibilità sembrano infinite. Bisognerebbe ragionare con calma su solide basi emotive e intellettuali per prendere una scelta saggia e ponderata, ma a 17/18 anni non si conosce granchè di sé stessi e del mondo; nessuno insegna dei metodi validi per indagare, gli ormoni sono a mille, la fantasia alle stelle e quello che ognuno vuole veramente è solo levarsi dal cazzo da quel letamaio chiamato scuola.

(AVVERTENZA: quel letamaio poi, lo si rimpiange. Lo si rimpiange sempre, anche se tutto va bene, anche se tutto va a meraviglia. Si rimpiange perché in fondo, nolenti o volenti, in quel letamaio ci abbiamo passato un sacco di tempo. Poi si era protetti. A scuola si è sempre protetti)

Quindi quando si sta per abbandonare il liceo, quello che si prova, in fondo, è una sensazione di win to win: « intanto mi maturo -pensi- poi mi immergerò in un nuovo mondo. Nulla può essere peggio della mia scuola. »
Si può essere in ansia se si hanno delle incertezze, se si crede che gli altri siano più sicuri. Ma in fondo chi ha veramente le idee chiare a 17/ 18 anni, quando non si sa granchè di sé stessi e del mondo, si hanno gli ormoni a mille e la fantasia alle stelle?

Riporto il mio esempio, perché è emblematico per l’argomento che tratteremo in questo pezzo: Io non sono indeciso su quello che voglio fare, io sono deciso a non decidermi, almeno nel senso canonico del termine.
Nell’ultimo anno del mio liceo ho fatto veramente fatica a scegliere dove continuare i miei studi, e tuttora che sono iscritto all’università, sento che in fondo ciò che ho scelto non è definitivo e non lo sarà mai. Una sola, statica, branca del sapere non esaurisce la mia curiosità, non esaurisce la visione di chi voglio essere in futuro.

l’università italiana rimane un sistema a compartimenti stagni, laddove lo studente è semplicemente inserito in un percorso obbligato

L’università nel senso odierno del termine, impostata su modelli ancora novecenteschi, è un sistema a compartimenti stagni elaborato per gli scopi di una società tayloristica che aveva bisogno di professionisti altamente specializzati in singole branche che apparivano separate fra loro. Oggi, però, nonostante si necessiti ancora di un elevato tasso di specializzazione, si è ben consapevoli della fluidità del sapere e del fatto che campi estremamente diversi fra loro siano in realtà altamente connessi. Ciononostante, l’università italiana rimane un sistema a compartimenti stagni, laddove lo studente è semplicemente inserito in un percorso obbligato e qualsiasi slancio verso la ricerca e l’innovazione non è semplicemente tenuto in considerazione.
Cosa intendo?
Provo a farvi capire meglio.

L’università è un’istituzione che trova la sua origine e diffusione del medioevo come punto più alto dello studio di un erudito. Essa però, nel passato, non era divisa per scompartimenti né attribuiva ai suoi studenti valutazioni di alcun tipo: secondo la cultura medievale il sapere era unico e non diviso. Volendo fare un esempio, mettiamo caso che Shakespeare fosse iscritto all’università di Oxford. In tal caso, non ne sarebbe uscito fuori con una laurea in letteratura e un voto di 110 cum laude: egli sarebbe semplicemente uscito dall’università di Oxford con una -generica- laurea. In quegli anni avrebbe studiato tutto: dalla matematica, alla giurisprudenza, dall’astrologia alla filosofia, scegliendo egli stesso come calibrare le varie materie e quanto studiare dell’una e dell’altra. Pertanto la fine degli studi era concessa dai rettori non sulla base di un mero percorso standardizzato, ma sulla consapevolezza di aver formato un uomo che aveva saputo riconoscere, apprezzare e far propria la conoscenza di tutte le meraviglie del mondo.

Bello vero? Possiamo azzardare un paragone con il tipo di preparazione che oggi forniscono i super-atenei americani come Harvard, Yale, Stanford. Una volta entrato lì dentro, nessuno vieta ad uno studente di economia di inserire tra i suoi corsi anche lezioni di antropologia, chimica o letteratura nipponica: non si studia ad Harvard per diventare un piccolo ingranaggio dell’enorme macchina, ma per essere colui che la macchina la inventa. E l’unico modo per farlo non è ragionare per compartimenti stagni, guardando solo il quadrante in cui siamo stati inseriti in quanto ingranaggi.

Tutta questa carrellata storica ha un fine: mostrare come l’università moderna abbia perso il suo senso originario che permetteva una formazione a 360 gradi dell’uomo ed è diventata un mero contenitore di corsi di formazione. Certo, imparare è sempre entusiasmante, anche quando lo si fa a compartimenti stagni, e poi, in qualche modo, tutto ciò che apprendiamo in un corso di laurea ci fa sentire cresciuti, più maturi ed eruditi.
Ma siamo sicuri che questo basti?Siamo sicuri di non desiderare di più?

Io ad esempio ho un desiderio. Non voglio definirmi, non voglio che una professione divenga il prefisso del mio nome.
Mi sono sempre approcciato allo studio prima di tutto da un punto di vista esistenziale, vedendo l’educazione come cibo per la mia anima e la mia mente e poi in secondo luogo mi ci sono avvicinato con un sguardo utilitaristico, pensando a ciò che posso farne di tutto quello che ho appreso.

Desidero poter studiare più di una facoltà insieme.

In quanto studente di giurisprudenza perché dovrei essere privato della possibilità di portare avanti degli studi avanzati anche in psicologia o storia dell’arte?
Perchè? Qualcuno me lo spiega?

Perchè?Perchè?Perchè?!

Per colpa di una legge fascista del 33’, ecco perché. Una legge vecchia un secolo, di una dittatura caduta e rinnegata, che a nessuno è mai venuta in mente di smontare. L’art.142 del RD (Reggio Decreto) 1592/1933 del TU (Testo Unico) sulle leggi sull’istruzione superiore recita:


“Nelle Università e negli Istituti superiori si può ottenere l’iscrizione solo in qualità di studenti. Salvo il disposto dell’art. 39, lettera c), è vietata l’iscrizione contemporanea a diverse Università e a diversi Istituti d’istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola”.

“La stupidità non conosce limiti”, ecco quello che penso ogni volta che la mia mente si accosta all’idea che è illegale, vietato, a me e a chiunque altro, semplicemente avere la volontà di ‘farsi il mazzo’ e studiare di più iscrivendosi a due corsi di laurea contemporaneamente.
Quale senso potrebbe avere, negare a qualcuno questo diritto?

Si tratterebbe di un passo in più, verso la possibilità di vivere l’università come ciò che, a parer mio, dovrebbe essere: un centro di ricerca in cui si fanno proprie le meraviglie della conoscenza del mondo, che è una, e non divisa in diverse facoltà.

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