RIFLESSIONI SULLA GUERRA di Alessandro
Gli Stati Uniti d’America sono la prima potenza del pianeta, militarmente ed economicamente ancora superiori alla Cina, il gigante asiatico che minaccia la loro egemonia globale. Il potere americano è fondato sul controllo strategico dell’Europa, il continente più importante, con la popolazione più capace, le imprese più produttive e l’immensa storia. Ma gli USA non sono solo potenza: sono un impero, adeguatamente dissimulato sotto la bandiera della democrazia e del liberalismo ed esportano valori e soft power in grado di renderli l’alternativa migliore rispetto ai modelli opposti russo e cinese.
Oggi però la fortezza americana sembra mostrare segni di cedimento, una fatica che affligge la popolazione ignorante della natura imperiale americana e che, anzi, ne aborre l’idea. Nei trent’anni successivi al collasso del rivale impero sovietico, gli USA hanno inviato moltissimi giovani a combattere guerre in luoghi lontani, esotici e per ragioni poco chiare. In Afghanistan gli americani del sud e del Midwest, storici bacini di reclutamento delle forze armate, hanno pagato un prezzo enorme in termini di vite umane. Conflitti come quello ventennale in Afghanistan e quello in Iraq hanno pesantemente provato il tessuto sociale statunitense, mettendone alla prova la coesione e la fiducia nella classe politica.
I recenti avvenimenti hanno riportato la guerra in Europa, qualsiasi intervento ‘boots on the ground’ della Nato e del suo azionista di maggioranza americano comporterebbe un prezzo insostenibile in termini economici e sociali. L’invio di truppe americane a rinforzo degli alleati NATO orientali o peggio direttamente nella zona di guerra recherebbe con sé: i mercati delle commodities già provati subirebbero un impatto devastante anche per i consumatori e le imprese americane, in Europa diventerebbe veramente proibitivo anche il rifornimento nelle stazioni di servizio. Il prezzo delle azioni delle società americane subirebbe la stessa sorte dei listini europei fortemente gravati dalle sanzioni alla Russia.
In una situazione così critica anche il governo russo potrebbe decidere di rispondere alle sanzioni riducendo o tagliando del tutto le forniture energetiche all’Occidente e lanciare attacchi informatici ad infrastrutture sensibili, pericolosi come il blocco del Colonial Pipeline il 7 maggio 2021. Nel caso di intervento diretto dell’esercito americano in Ucraina avremmo come possibile devastante epilogo una guerra nucleare che non lascerebbe vincitori.
Al netto degli scenari più catastrofici va detto che l’Ucraina non ha lo stesso valore per russi e americani. Da anni la Russia teme l’ingresso nella Nato della vicina che assurge ad essere con l’espressione dello stesso Vladimir Putin, una “questione esistenziale”. Una reazione analoga ebbero gli americani nell’ottobre del 1962 durante la crisi dei missili a Cuba, sentendosi minacciati in casa propria.
Ad oggi non sembra che gli USA siano disposti a farsi carico dell’immane rischio del collasso dell’economia e di uno scontro diretto con la Russia che inevitabilmente diverrebbe nucleare. Inoltre, l’opinione pubblica americana sembra quasi disinteressata al conflitto ucraino, a differenza della sua politica che si dimostra eccessivamente assertiva.
L’operazione speciale avviata dai russi non ha una direttrice chiara: già prima dei danni della guerra l’Ucraina aveva un’economia debole e la corruzione era onnipresente. Il Cremlino, ormai da tempo, impiega sostanziose risorse per sovvenzionare Crimea, Donbass e le aree della Georgia sotto il suo controllo. Altro onere sulle spalle dei russi è il sostegno ai suoi alleati in Bielorussia, Siria e Kazakistan.
Consci delle grandi difficoltà di Mosca e dei rischi che comporterebbe uno scontro diretto, gli americani non moriranno per Kiev. La cittadinanza americana, in primis la classe media, non sopporterebbe l’immane sacrificio in un contesto sociale già profondamente gravato dallo iato tre le coste e l’America profonda. L’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 trova la sua origine nelle immense diseguaglianze sociali che affliggono il tessuto sociale statunitense ad un livello tale da metterne a rischio la coesione sociale.