Matofobia

La matematica è la materia che, più d’ogni altra, vi dà l’impressione di essere dei fenomeni. Il professore spiega con cautela le derivate, cercando disperatamente di mantenere viva l’attenzione di voi studenti, assegna i soliti dieci o venti esercizi, li svolgete, i vostri calcoli coincidono con la scritta in blu alla destra dell’esercizio e urlate dalla gioia oppure, se non siete dei grandi appassionati, non siete comunque delusi dal vostro piccolo traguardo.

Avete quindi tutti i dati necessari per poter concludere di essere bravi in matematica.

Qui sorge però il primo problema.

L’esercizio sulle derivate, se iterato un numero di volte pari alla mole di esercizi assegnati, non vi garantirà mai la loro piena comprensione. Magari siete in grado di padroneggiare qualche “schema” ma è come avere la presunzione di poter scrivere la Divina Commedia solo perché siete in grado di produrre terzine anche durante il sonno.

Se questo però fosse l’unico problema nel rapporto con questa meravigliosa materia, non esisterebbe la cosiddetta “matofobia”, ossia una vera e propria fobia per la matematica.

Varie ricerche scientifiche ne dimostrano l’esistenza, tra queste una, pubblicata nel 2012 sulla rivista Plos One, ha esaminato l’attività cerebrale di un gruppo di adulti impauriti alla sola parola “matematica”. Tramite questa ricerca si è scoperto che l’ansia per la matematica accende in alcuni individui gli stessi circuiti che, a livello neuronale, si attivano quando si prova dolore fisico.

Se è il vostro caso, non sentitevi soli: numerose “celebrities” hanno manifestato lo stesso problema con la materia almeno una volta nella loro vita. Primo tra tutti, il principe William d’Inghilterra, il quale aveva una forte avversione per teoremi e operazioni algebriche. Fu grazie all’aiuto del suo precettore privato, Rory Stewart, che accompagnò l’insegnamento della materia a buffe caricature incentrate su essa, che il principe riuscì a superare questa difficoltà. 

Da ragazza era terrorizzata dai numeri anche Lady Gaga, che pare abbia superato i suoi traumi da studentessa grazie alla psicoanalisi. Oggi ricorre persino a parallelismi matematici nelle sue interviste ed una volta dichiarò addirittura: “Se esistesse un’equazione della bellezza, non so se farei parte dell’algoritmo”. 

Vi è però un problema di fondo dal quale scaturiscono tutti gli altri: non è possibile fare alcuna stima circa la nostra bravura in matematica e nemmeno sulla propensione per tale materia perché quella che si studia a scuola non è matematica.

Da universitario, frequento oggi il secondo anno di Matematica e neppure io ho ancora compreso bene cosa essa sia. Anzi, ho ancor più dubbi di prima. 

Ho però ben compreso cosa essa non sia e ciò è un buon punto per poterla, in parte, definire.

Matematica non è saper far di conto e trovarne delle applicazioni nella vita reale. E’, in parte, un modo per sminuire la sua purissima metafisica. Avete presente le “prove di realtà” che inseriscono nei compiti? Sono “divertenti”, “utili”, affinano il ragionamento dello studente ma, ancora una volta, non sono matematica. 

La Matematica non ha nulla a che vedere con la realtà, nel medesimo rapporto che può avere un poeta con la stesura di un testo giuridico.

Il fine della matematica ricorda il famoso motto “Art for art’s sake”, ovvero “l’arte solo per l’arte stessa”. La vera arte, così come la vera matematica, è fine a sé stessa, avulsa da ogni fine che non sia la pura e disinteressata bellezza.

Matematica è Poesia e il matematico è un poeta. Con essa condivide il rapporto con l’oltre, l’uso di segni convenzionali, un’immensa capacità di condensazione e un’inesauribile e silenziosa bellezza.

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