LE CARCERI DELLA VERGOGNA
“Da dove viene questa strana pratica, e questa singolare pretesa di rinchiudere per correggere?”
Nel 1975 Michel Foucault scrive il suo capolavoro filosofico, un saggio crudo e analitico intitolato “Sorvegliare e punire” nel quale descrive la realtà delle carceri, rappresentazione del sentimento storico della società contemporanea, il cui unico scopo è quello di disciplinare.
Il concetto di disciplina, Foucault insegna, consiste nel sorvegliare qualcuno, controllarne la condotta e le attitudini, capire come intensificare la sua prestazione e come collocarlo nel posto in cui sarà più utile.
Il saggio è tutto teso a condannare il lato repressivo del carcere, evidenziandone il malfunzionamento e l’inadeguatezza a rappresentare il valore colossale della Giustizia.
A distanza di quarant’anni e dopo molte legislazioni a riguardo, la situazione delle carceri non è ancora dignitosa. In Italia, come descrive il rapporto del 2018 dell’Associazione Antigone, nel 36% degli istituti le celle sono senza acqua calda e nel 56% sono senza doccia, mentre nel 20% non ci sono spazi dedicati ai detenuti per dedicarsi a lavori di qualsiasi tipo. Tutte cose che sarebbero previste per legge: un articolo dell’Ordinamento penitenziario, ad esempio, indica il dovere di favorire in ogni modo la destinazione degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale.
Inoltre, negli ultimi anni il problema del sovraffollamento delle carceri è divenuto tragicamente sofferto: il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi supera le 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti, porta a vivere in condizioni disumane le persone in stato di detenzione, costretti a convivere in due o addirittura in tre in celle nude e strette di circa 6 per 8 piedi di dimensione (per intenderci, quanto un bagno di un qualsiasi ristorante).
L’universo carcerario, parallelo e sigillato alla nostra percezione quotidiana, è costellato da problemi insostenibili, scandali e difficoltà: le condizioni di vita dei detenuti sono ai limiti di ogni immaginabile umanità e vengono giornalmente denunciate da urla silenziose oppresse da un vergognoso senso di indifferenza generale.
C’è allora da chiedersi: il carcere ha davvero una funzione rieducativa? La sorveglianza e la punizione, nella loro rigidità, soffocano la possibilità di ritenere i detenuti come soggetti da reintegrare in un mondo che non li vuole più. Molti sono addirittura giunti a ritenere il carcere come una vera e propria ‘discarica della democrazia‘ che si occupa di smaltire materiali di scarto, non ritenendo i soggetti in stato di detenzione degni di essere riconosciuti come ‘persone’.
Eppure, la questione viene ignorata da tutti. Numerosi sono stati gli interventi internazionali che hanno ripetutamente condannato l’Italia (vedi Caso Torreggiani o Causa Sulejmanovic– https://temi.camera.it/leg17/post/la_sentenza_torreggiani_e_altri_contro_italia.html?tema=temi/la_questione_carceraria ). Inoltre, seppur più volte promossa, una riforma penitenziaria non è mai stata approvata. Questo perché molti considerano il problema come secondario, altri ritengono addirittura giusta la condizione delle persone in stato di detenzione, facendosi portavoce di un ideale di Giustizia bendata rappresentazione di una morale distorta che li ha resi ciechi, immemori dei diritti delle persone.
La visione miope che tutt’oggi si ha in Italia della macchina processuale, per cui chi si macchia di un reato è destinato a essere socialmente nient’altro che un “carcerato privo di futuro”, non mette a fuoco il centrale problema della reintegrazione.
Si consta che la prigione, nata per aiutare e trasformare gli individui criminali, non serve che a fabbricarne di nuovi o a farli sprofondare ancora di più nella criminalità, e che la funzione di “reinserimento” è venuta meno ancora prima di essere effettivamente messa in atto. Il punto allora, come si era proposto Foucault, è quello di fornire una critica al meccanismo carcerario per renderlo meno marginale rispetto al resto della società. La privazione della libertà non dovrebbe rendere meno umani.