UN TAVOLO PER UNO

elogio dell’uscire da soli

La vita può essere vista come un continuo superamento di confini, dapprima interiori e che in seguito si manifestano all’esterno. Sovente l’ambiente in cui cresciamo ci costringe a vedere barriere che non esistono, che poi nel corso della vita alcuni avranno il coraggio di superare. Siamo animali sociali, da branco, e seguiamo il gruppo a volte senza domandarci il perchè.

Una di queste barriere è sicuramente la percezione di una persona che è da sola in pubblico. Sia chiaro, viviamo in un’epoca di forte frammentazione sociale, di distanza l’uno dall’altro e la solitudine è realmente un problema per molte persone. Ma chi ha la fortuna di avere una vita sociale attiva, degli amici fidati, a mio dire, scopre una fonte di energia e soddisfazione immensa quando capisce che può godere del tempo con sé stesso senza il tormento di dover essere giudicato. Quando si arriva a questa consapevolezza, di fatto, ogni giudizio esterno scompare.

Dopo questa breve introduzione generale, sinceramente, vorrei parlavi di me, della mia esperienza. Ho una vita frenetica, perchè ho una mente caotica e durante la giornata se non scappo da un luogo all’altro, è probabile che passi tutto il tempo nello stesso quadrilatero della città, al computer o sui libri a curare uno alla volta i progetti e gli studi che riempiono la mia vita e in questi casi, posso anche non avvertire per giorni la necessità di uscire con qualcuno o fare attività di gruppo, nutrendomi meravigliosamente di me stesso, di quell’infinito che tutti noi abbiamo dentro e che dobbiamo imperativamente scoprire. Al termine di queste giornate, spesso, sebbene non senta l’esigenza di vedermi con qualcuno, avverto quella di dover uscire, di andare in un luogo altro: vado a cena fuori, ma da solo. Vi giuro, momenti di pura grazia.


Ricordo ancora la prima volta che andai a mangiare da solo, avevo passato tutto il pomeriggio a girovagare per la mia città, o qualcosa del genere, tutti i miei amici erano occupati o altrove, avevo fame, qualche soldo in tasca e non volevo accontentarmi di un pezzo di rosticceria, volevo un buon pasto e un bicchiere di vino, così mi sedetti in un osteria con dei tavoli all’aperto. Inizialmente sentivo un po’ di imbarazzo ma poi il mio cuore si riempì di quella sicurezza che mi guida nel momento del bisogno e che mi sussura, di solito, così: “Che cazzo te ne fotte, tutto andrà bene”. Ricordo che non appena questa consapevolezza attraversò il mio animo, la coppia che sedeva di fianco a me si prese la briga di disturbarmi: “come mai un giovanotto tanto bello come te, qui da solo?”, risposi con naturalezza come se fosse la milionesima volta, forse influenzato da tutti i film che avevo visto: “ Scusatemi, ma cosa c’è di meglio che mangiare da soli?”, scoppiarono in una fragorosa risata e mi fecero altre domande, conversammo, si unì anche la padrona del locale, l’atmosfera era leggera e allegra, mi offrirono il dolce.

Quello che vorrei che si capisse, al di là della metafora del mangiare da soli, è che qualsiasi ostacolo vediamo nel mondo esterno è una rappresentazione di un ostacolo interiore, nostro; non esiste realmente: abbiamo paura della paura, di metterci in situazioni che sembrano scomode. Ma tutto, anche la più terribile delle situazioni, si può rivoltare in un’opportunità, in un vantaggio.


Ad oggi, quando sono in periodi dell’anno molto routinari, ceno da solo praticamente almeno tre volte la settimana, non che me lo imponga, semplicemente succede, perché magari sono stato per delle ore a fare una cosa e mi rendo conto alle 22.15 che non ho ancora mangiato e allora non sto lì a rompere le palle a qualcuno. Prendo, esco, mangio. Poi si può parlare della meraviglia di conversare con camerieri e cuochi, oppure quella di osservare il paesaggio, la città, le persone, il via vai, immersi nei propri pensieri e ragionamenti mentre si gusta un pasto caldo. Perchè ciò può essere visto come qualcosa di strano?

Inizialmente sentivo un po’ di imbarazzo ma poi il mio cuore si riempì di quella sicurezza che mi guida nel momento del bisogno e che mi sussura, di solito, così:

“Che cazzo te ne fotte, tutto andrà bene”


E’ proprio questo il punto. Questo articolo nasce dal confronto con alcuni amici che mi facevano notare come non potessero reggere le domande o gli sguardi di chi fosse stupito di vederli seduti ad un tavolo da soli, ma felici. Come se solitudine dovesse per forza significare tristezza, come se tale concetto (la solitudine) dovesse essere per forza declinata al negativo. Uffa, perchè vogliamo perderci la meraviglia della compagnia di noi stessi? Perchè dobbiamo nasconderci e viverla male? Non sapete cosa ci si perde: anche la possibilità di fare conoscenze rare che altrimenti non sarebbero mai potute capitare, oppure dei servizi privilegiati nei locali che a lungo andare diventano di fiducia. Nella metà dei ristoranti del mio quartiere, quando mi vedono entrare mi chiedono in automatico: “Andrea, il solito?” e io sorrido.


Infondo, questo non è un pezzo sul mangiare da soli, è una riflessione sulla vita in generale, sul gusto di fare a modo proprio, sulla capacità di trovare il proprio valore e benessere in qualsiasi circostanza senza essere scalfiti dalle condizioni esterne, perchè queste ultime sono la manifestazione di quelle interne.


Ora il discorso si potrebbe declinare anche all’uscire da soli: mai andati al cinema in compagnia di voi stessi mentre le luci si spegnevano? Mai fatto una lunga passeggiata da soli girovagando senza un obiettivo preciso? Mai esservi goduti la spiaggia, il sole, il mare nella beatitudine della solitudine?


Provateci, scoprirete molte cose.


E anche io, e noi di parolaperta vogliamo scoprire molte cose di voi: condividete i vostri racconti della solitudine, le vostre foto al tavolo singolo, i vostri momenti speciali con voi stessi.
Chiudiamo con un aforisma: trova dentro di te la compagnia quando sei da solo, poi trova la persone giuste con cui condividere la tua solitudine.

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