Vincere te stesso

Nasce tutto dal trascurarsi.

L’odio, la rabbia, l’insoddisfazione, il dolore, tutto.

Un trascurarsi inconscio, inconsapevole, tipico di chi cerca di fuggire dalle retoriche della vita ed è incapace di intendere che è proprio quella fuga la più infima delle retoriche in cui si può finire intrappolati.

Trappola che inevitabilmente ci costringe a dover dare conto, un giorno, di tutti gli errori commessi.

Un salatissimo conto da pagare.

Mezzosangue affronta questo concetto in “De Anima”, brano del 2015 prodotto da Squarta.

Il brano è uno storytelling, tratta dell’incontro con la propria anima.

Il protagonista si guarda allo specchio, ma si accorge che è il suo riflesso a guardarlo.

La fisionomia della sua anima è sporca, piena di lividi, ferite.

L’anima gli punta una pistola contro, “dice che ha una storia e vuole che stia ad ascoltarla”.

È lì per chiedere spiegazioni, chiede se ricorda “il primo amore, la prima delusione, la prima volta che pensai che il mondo è squallido”.

Dalle parole di Mezzosangue si evince un forte senso di rabbia, contaminata da un’aspra amarezza.

Il primo amore, le delusioni, l’odio nei confronti del mondo, sono segreti che ognuno di noi custodisce –o crede di custodire- nel più lontano e profondo angolo di sé stesso, come se volessimo costringerci a dimenticarcene.

Chi poi ha il dovere di gestire ogni colpo incassato è proprio la nostra anima, fino al punto in cui i colpi diventano troppi, il dolore inimmagazzinabile, e allora

Mi dice che ho toccato il fondo

Che ogni segno sul suo corpo ne è il ricordo più profondo

Urla che mi è stata accanto 

E non l’ho mai protetta”

Come si diceva prima, niente di meno di un più che legittimo chiedere il conto.

Il ritornello che segue invece non è altro che la voce dello sconfitto.

La voce di chi è stanco di combattere alla stregua di sé stesso, di chi non ha più le forze per reagire e capisce la rilevanza che ha avuto nella sua vita il trascurarsi:

Per tutte quelle volte che la gente non c’ha amore,

Chiudi il cuore in cassaforte e scorda la combinazione

La seconda strofa è colma di paura, è Mezzo a parlare, non capisce come possa essere stato il suo scendere a compromessi con sé stesso ad aver ridotto la sua anima in quelle condizioni, e si difende dalla stessa inveendo contro la vita –“a volte questa vita prende cento e ti dà niente in cambio”.

Ma l’anima non ha orecchie per sentire, “non m’ascolta, vuole che paghi per ogni volta che l’ho lasciata in braccio a chi poi le ha tolto la forza”, è letteralmente indemoniata e stufa di essere bistrattata.

È una presa di coscienza che dovrebbe toccare tutti, chi legge, probabilmente anche chi scrive: lo scendere a compromessi con sé stessi è il colpo più doloroso che ci si possa infierire, l’omologarsi, in forme e abitudini che nel concreto non ci appartengono, è l’atto più autolesionista che si possa compiere.

Ma è in “Destro, Sinistro, Montante” che il rapper romano torna prepotentemente sull’argomento, ricalcando le immagini di un pugile che si ritrova a combattere la più estenuante delle battaglie, quelle con la vita.

Il pezzo è potente, evocativo, goliardico.

Guardala” è la prima parola del brano, Mezzo sottintende una figura femminile, esorta il pugile a non temerla, a guardarla negli occhi, perché è lui il più forte, perché è lui che ha più fame.

Poi continua “Alza la guardia, piedi leggeri come una farfalla”, il contesto si fa sempre più chiaro, sembra che questa volta sia l’anima ad incoraggiare e dirigere il pugile, e il riferimento alla famosa citazione di Muhammad Ali rende sicuramente più intensa l’immagine.

L’incontro ha inizio, il pugile vede scoperto il mento dell’avversario, ma nel momento in cui prova a sferrare il colpo riceve un destro e finisce a terra.

Ma il ritmo del brano è serrato, così come l’incontro, e allora l’anima, voce fuoricampo, coach del boxeur, da manforte al suo assistito “Dai non baciare il cemento! Alzati, alza la guardia”.

La vita picchia forte, più di quanto si abbia il coraggio di ammettere, ma sono tutte le volte in cui abbiamo baciato il cemento ad insegnarci come ci si rialza, e allora, dopo un momento di assestamento, di colpi incassati, di sangue sputato, il pugile segue la voce che ha in testa, che chiaramente scandisce

“Stai calmo, respira più a fondo,

Di più sulle punte, controlla l’affanno

Bravo, ora destro sinistro

Destro, sinistro, montante, 

Finché non la vedi col sangue”

L’incontro finisce, per quanto la vita picchi duro, bisogna capire che si ha la possibilità di picchiare ancora più forte.

La seconda strofa è un inno alla resilienza, un grido di rabbia per tutte le volte che si è preferito trascurarsi, incassare, reprimere

Per ogni taglio coperto col freddo del nulla che ha reso il mio cuore ghiacciato,

Per ogni destro allo specchio, ogni volta che ho perso qualcosa, ogni rosa, ogni spina

Sono probabilmente questi versi a rendere chiara l’evoluzione del pensiero dell’artista, che prima si faceva scudo di quel limpido nichilismo racchiuso nel ritornello di “De Anima”, dove la rabbia scaturita dagli errori commessi non riceveva il rispetto che invece dovrebbe meritare.

In “Destro, Sinistro, Montante” invece si evince una forte voglia di riscatto, di impartire alla vita una lezione più dura di quella che si è ricevuta, si recepisce il coraggio di chi è capace di sopraelevarsi rispetto alle difficoltà quotidiane e riuscire a vincere tutto, soprattutto sé stessi.

Si descriveva la fuga come la più infima delle retoriche perché è puramente illusoria, ci fa credere che evitare il dolore, evitare la sconfitta, sia sinonimo di affrontarle.

Ma nell’effettivo il male diventa cumulabile e l’anima non ha la pazienza necessaria per sostenere un peso simile.

Un’altra penna di nicchia del rap italiano, Tmhh, afferma -in “Amiamoci altrove”- “Se la vita ti chiama figlio di troia per metterla in imbarazzo ti basta darle ragione” e credo che il senso della riflessione sia proprio questo: se la vita pretende che un individuo non possa essere in un certo modo, non c’è scelta più consapevole del perseverare.

Perseverare nei valori, ricalcare i propri credo, evitare le mezze misure ed amare il proprio dolore, in quanto proprio e connaturato nell’individualità di ognuno.

Quando si riuscirà a capire che l’essere inevitabilmente sé stessi non è un onere quanto un onore, probabilmente si riuscirà a capire quanto sia importante un continuo dialogo con la propria anima, perché questa come noi è in evoluzione continua, matura e cambia, ma resta pura, vera, ineluttabile.

Sta a noi preservarla, accudirla, proteggerla dall’inesorabilità delle nostre scelte, ponderando quest’ultime, per le stesse finalità.

Ben venga il trascurarsi, solo nella misura in cui un giorno si possa smettere di farlo, perché l’accettare una sconfitta è il primo passo per poter comprende in toto il significato di una vittoria.

Dì seguito, la barra finale di “Destro, Sinistro, Montante

“Ogni volta che ho messo le nocche sul mondo,

ogni sfida che ho vinto era contro la vita

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