Mi sono interrogato spesso sul significato intrinseco di vulnerabilità, come dovesse necessariamente esserci dell’altro oltre al mero significato cristallizzato nel Treccani.
“Vulnerabile: colui che può essere ferito.”
Ho spesso pensato anch’io a questa concezione e condizione malsana della vulnerabilità, un po’ schernita e poco sviscerata, in questa connotazione negativa per la quale e secondo la quale, chi è vulnerabile allora è irrefrenabilmente debole.
Mi sono fatto spazio in questo giuoco, cementificando il mio passato e implementando il mio ego, solo così, a detta mia, non sarei mai stato vulnerabile.
Ma ad ogni modo, ferito, io, lo sono comunque stato.
Ho iniziato così a ripudiare questo significato letterale della vulnerabilità, vista e tradotta in questa essenza ultima della fragilità, della dipendenza assoluta, come mi potesse appartenere solo questo.. solo questo senso figurativo di precarietà della stessa condizione umana, come non potessi nel frattempo avvalermi di altri titoli.
Ne parlava anche Ricoeur, pensatore francese, della vulnerabilità, che rimembra, in uno dei suoi scritti, quanto l’esistenza umana sia:
“una fragile sintesi fra il limite della corporeità e l’infinito desiderio dell’anima”.
Ho sentito allora le catene spezzarsi, il mio grido di libertà farsi strada tra queste consapevolezze venefiche, ho distrutto tutte quelle convinzioni radicate nell’animo, ho lasciato che la mia mano destra mollasse la presa, che la mia vulnerabilità potesse finalmente uscire dalla mia prigione morale, dai miei schemi rigidi, dal ruolo sociale in cui sono incappato.
Mi sono spazzato via, da solo, ho annientato questo ammasso sconcluso di paure non manifestate, e la mia vulnerabilità ha cessato così di essere mero strumento ricondotto alla mia fragilità personale.
Ho lasciato la vita stessa scorrermi nelle vene, mi sono abbandonato nelle braccia di un’altra, scoprendo quanto familiari possano essere queste mani ignude che si fanno strada sul mio petto.
Ho elevato la mia fragilità, l’ho elevata ad uno stato di potenza, e adesso, io e lei viaggiamo finalmente sullo stesso binario.